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SOCIO-CIVILE
19 Dicembre 2025 - 06:00
Bovindo – racconti da leggere, autori da scoprire è la rubrica dedicata a chi desidera far conoscere la propria voce letteraria e condividere il piacere del racconto breve.
Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, Bovindo propone un nuovo racconto, scelto tra autori esordienti e scrittori già affermati, offrendo ai lettori uno sguardo privilegiato sulla narrativa italiana contemporanea: una finestra luminosa da cui osservare il mondo attraverso tante piccole grandi storie.
Gli autori interessati possono inviare all’indirizzo bovindo2025@gmail.com il proprio racconto indicando nome, cognome, luogo di residenza e contatto telefonico. I testi, in lingua italiana e a tema libero, non dovranno superare le quattro pagine (formato A4, file Word). Sono ammessi racconti editi o inediti, senza limiti di genere. Per ulteriori informazioni: cellulare 327 1371380. Bovindo è uno spazio aperto e inclusivo, dove la scrittura respira, il talento si riconosce e ogni voce trova il suo lettore.
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Il Tenente Marco Bruni non aveva mai creduto davvero nei confini.
Non quelli tracciati sulle mappe, né quelli che gli uomini si portano addosso come cicatrici. Per questo, quando gli affidarono l’incarico di “osservatore civile” in una piccola città di provincia, lui non protestò. Era un compito insolito per un uomo abituato ai fronti, alle missioni, alle notti passate a leggere il mondo attraverso un binocolo. Ma accettò. Perché, in fondo, anche le città tranquille hanno i loro fronti invisibili.
Arrivò a Massa Marittima in un pomeriggio di vento. Le strade erano pulite, i bar semivuoti, le voci basse. Sembrava un luogo dove non accade mai nulla, e proprio per questo gli fu chiesto di restare: quando tutto sembra immobile, è lì che bisogna guardare meglio.
Il suo alloggio era una stanza sopra la biblioteca comunale. Una finestra dava sulla piazza, l’altra su un vicolo stretto dove il sole arrivava solo di rimbalzo. Ogni mattina, il Tenente scendeva presto, prendeva un caffè al bancone e iniziava il suo giro. Non aveva un’uniforme, solo un taccuino nero e un’andatura calma che non metteva paura a nessuno.
Il suo compito era semplice: ascoltare. Ascoltare le strade, le persone, i silenzi. Capire dove si nascondeva la frattura, dove il tessuto civile iniziava a sfilacciarsi. Perché ogni comunità, anche la più pacifica, ha un punto in cui la voce si incrina.
La prima a parlargli fu una donna anziana, seduta ogni giorno sulla stessa panchina. Gli raccontò che la città stava cambiando, che i giovani se ne andavano, che le botteghe chiudevano una dopo l’altra. «Non è colpa di nessuno», disse, «ma è come se il paese avesse smesso di respirare».
Il Tenente annotò tutto, senza interromperla.
Poi incontrò un ragazzo che dipingeva murales sui muri scrostati. Gli disse che l’arte era l’unico modo per far parlare le pietre. «Qui tutti guardano, ma pochi vedono», aggiunse.
Il Tenente sorrise: quella frase gli ricordava i suoi vecchi istruttori.
Passarono settimane.
Ogni giorno, Marco Bruni raccoglieva frammenti: una discussione al mercato, un litigio tra vicini, un gesto gentile che nessuno aveva notato. Era come comporre una mappa invisibile, fatta di emozioni più che di strade.
Finché una sera, mentre tornava verso la biblioteca, vide una luce accesa nel vecchio teatro comunale. Era chiuso da anni, dichiarato inagibile. Eppure, da una fessura della porta, filtrava un bagliore caldo, come di candele.
Il Tenente entrò.
Dentro trovò una decina di persone: giovani, anziani, un insegnante, una barista, un musicista. Stavano provando una piccola rappresentazione teatrale. Non avevano permessi, né fondi, né un pubblico. Solo un bisogno urgente di fare qualcosa insieme.
«Perché qui?», chiese Marco.
«Perché nessuno ci vede», rispose una ragazza. «E quando nessuno ti vede, puoi ricominciare».
Il Tenente rimase a guardare le prove.
C’era qualcosa di fragile e potente in quella scena: un gruppo di sconosciuti che, senza saperlo, stava ricucendo la città dall’interno.
Da quella sera, Marco tornò spesso al teatro. Non interveniva, non comandava, non dirigeva. Si limitava a osservare, come gli era stato chiesto. Ma dentro di sé capiva che quella era la missione più importante della sua vita: proteggere ciò che nasce dal basso, ciò che non ha divise né gradi.
Un giorno, il sindaco lo convocò.
«Tenente Bruni, abbiamo bisogno del suo rapporto. La città è stabile? Ci sono rischi? Tensioni?»
Marco lo guardò a lungo. Poi disse: «La città è viva. E quando una città è viva, non è mai stabile. Ma non è un problema. È una promessa».
Il sindaco non capì del tutto, ma annuì.
Quella notte, il Tenente tornò al teatro.
La porta era spalancata, le luci accese. La compagnia improvvisata aveva deciso di aprire le prove al pubblico. C’erano bambini seduti per terra, anziani appoggiati ai muri, turisti incuriositi. Nessuno parlava. Tutti ascoltavano.
Marco si sedette in fondo alla sala.
Per la prima volta dopo anni, si sentì parte di qualcosa che non doveva difendere con le armi, ma con la presenza.
Quando lo spettacolo finì, la gente applaudì. Non era un applauso fragoroso, ma un applauso vero, che nasceva dal bisogno di riconoscersi.
Il Tenente chiuse il taccuino. Non gli serviva più.
Capì che il suo compito non era sorvegliare la città, ma testimoniare il suo risveglio. E che, a volte, la pace non è l’assenza di conflitti, ma la capacità di trasformare le crepe in incontri.
Il giorno dopo, lasciò la stanza sopra la biblioteca. Non disse a nessuno che se ne andava.
Le missioni civili finiscono così: quando la comunità ricomincia a camminare da sola.
Mentre scendeva verso la piazza, il vento gli portò una voce dal teatro: «Tenente, torni a trovarci!»
Marco Bruni si voltò, sorrise e rispose: «Se la città chiama, io ascolto».
Poi scomparve tra le strade quiete, come fanno gli uomini che non cercano gloria, ma luoghi dove il mondo ricomincia.

Testata: Buonasera
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