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Taranto
16 Dicembre 2025 - 13:25
TARANTO - Un frammento di storia strappato al mercato illegale e restituito alla collettività torna finalmente visibile. Al Museo archeologico nazionale di Taranto si apre un nuovo capitolo nel complesso percorso di recupero e studio dei beni trafugati, con l’esposizione “Memorie trafugate. I reperti recuperati dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale”, che presenta al pubblico una selezione di manufatti rientrati in Italia dagli Stati Uniti.
Tra le opere più significative spicca una testa monumentale in marmo della dea Atena, databile tra la fine del III e il II secolo a.C., caratterizzata dall’evidente incavo destinato ad accogliere l’elmo originario, probabilmente in marmo o bronzo. Un’opera di grande forza espressiva che, secondo le prime valutazioni, potrebbe essere stata collocata all’aperto come immagine votiva della divinità guerriera, protettrice della città, piuttosto che all’interno di un tempio.
Il reperto fa parte di un lotto di circa 20 gruppi di materiali archeologici assegnati dal Ministero della Cultura al MArTA, rientrati dal Metropolitan Museum of Art di New York al termine di indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Roma e condotte dal Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale. Una restituzione che si inserisce in un più ampio e complesso lavoro di cooperazione istituzionale e diplomazia culturale.
Accanto alla testa di Atena, il percorso espositivo propone una pittura parietale con scena di battaglia o di simposio, fibule di età ellenistica databili tra il IV e il II secolo a.C., anelli del VI secolo a.C., ornamenti in bronzo con innesti in oro, rilievi in terracotta e pietra tenera. Tra i materiali compare anche un falso accertato, una riproduzione moderna di epichysis apula nello stile di Gnatia, utile a raccontare uno degli aspetti più insidiosi del traffico illecito di antichità.
Alla presentazione della mostra erano presenti la direttrice del MArTA, Stella Falzone, e il comandante provinciale dei Carabinieri di Taranto, colonnello Antonio Marinucci. Falzone ha sottolineato come il vero danno prodotto dal saccheggio archeologico non sia solo la sottrazione fisica dell’opera, ma soprattutto la perdita del contesto, che spezza il legame tra l’oggetto, il luogo e la comunità che lo ha generato. Il lavoro del museo, ha spiegato, consiste proprio nel tentativo di ricostruire quella connessione perduta, restituendo dignità culturale a beni ridotti per anni a semplice valore economico.
Il colonnello Marinucci ha evidenziato come ogni recupero rappresenti un risultato concreto nella tutela del patrimonio culturale, ribadendo il valore pubblico di operazioni che consentono di riportare alla collettività opere sottratte illegalmente e disperse nei circuiti internazionali del mercato antiquario.
I reperti esposti provengono in gran parte dal sequestro legato alla società inglese Symes Ltd, riconducibile al trafficante di antichità Robin Symes, figura centrale nel traffico illecito del XX secolo. Molti di questi manufatti furono venduti, spesso senza che ne fosse chiara l’origine, a importanti musei internazionali. Grazie all’azione congiunta del Ministero della Cultura e dei Carabinieri TPC, sono circa 750 i reperti rientrati finora in Italia nell’ambito di questo filone investigativo.
La restituzione, tuttavia, non rappresenta un punto di arrivo ma l’inizio di un lavoro scientifico complesso. I materiali sono spesso privi di documentazione di provenienza e presentano manomissioni o restauri impropri, effettuati per aumentarne l’attrattiva commerciale. Solo alcuni manufatti mostrano affinità evidenti con il contesto tarantino, mentre per altri qualsiasi attribuzione territoriale resta, al momento, prematura.
Per questo motivo il MArTA ha scelto di non allestire una mostra tradizionale, ma di proporre un percorso metodologico, capace di spiegare al pubblico come si procede allo studio di reperti privi di contesto. Dall’inventariazione preliminare al confronto tipologico e iconografico, fino alle analisi archeometriche e materiche, ogni fase contribuisce a distinguere l’autenticità dell’opera dagli interventi moderni e a individuare eventuali falsificazioni.
Le sezioni dell’esposizione affrontano anche temi cruciali come la presenza di copie moderne, le criticità conservative dovute a recuperi traumatici e l’impatto di restauri invasivi che talvolta compromettono la leggibilità dei manufatti. Un racconto che mette in luce la responsabilità scientifica e istituzionale nel trattare testimonianze fragili, segnate da una storia complessa.
Attraverso questo approccio rigoroso e multidisciplinare, il MArTA intende restituire voce e significato a opere che, dopo essere state sottratte e disperse, tornano ora a essere beni comuni, strumenti di conoscenza e memoria. La mostra diventa così non solo un’esposizione, ma un atto di ricostruzione culturale, in cui lo studio rappresenta il primo passo per ridare identità al patrimonio trafugato.
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