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Dalla denuncia sociale ai ricordi d’infanzia i versi diventano ponte tra esperienza privata e impegno collettivo

"Geometrie del canto": la poesia come resistenza

Domenico Tonziello unisce forma e sentimento trasformando il verso in testimonianza e custodia del mondo

"Geometrie del canto": la poesia come resistenza

C’è una poesia che nasce per esigenza e un’altra che nasce per progetto. In queste pagine si avverte chiaramente che la scrittura non è il risultato di un esercizio letterario, ma il tentativo di dare una forma a ciò che pesa, a ciò che resta, a ciò che non trova pace: è in questo spazio che si colloca Geometrie del canto, raccolta poetica di Domenico Tonziello, dove la parola diventa resistenza contro il silenzio, l’oblio e l’indifferenza. Non c’è compiacimento, né volontà di stupire: c’è piuttosto il bisogno di tenere insieme esperienza personale e sguardo sul mondo, memoria privata e coscienza collettiva.


Il libro si muove entro una scelta formale precisa e costante. La quartina, la rima regolare, il ritmo riconoscibile non sono un ritorno nostalgico, ma una forma di disciplina. La struttura serve a contenere temi forti e spesso dolorosi, a impedire che l’emozione si disperda o diventi puro sfogo. In questo equilibrio tra ordine e sentimento si gioca gran parte della poetica dell’autore: la forma non soffoca il canto, ma lo sostiene, lo rende comunicabile, lo affida a una musicalità che accompagna il lettore senza forzarlo.


Uno dei filoni centrali della raccolta è quello civile. Qui la poesia si fa denuncia, presa di posizione, atto morale. Violenza sulle donne, guerra, fame, malattia, ingiustizia sociale non sono affrontate per accumulo emotivo, ma con parole che cercano chiarezza e responsabilità. In Voce spezzata, dedicata a una vittima di femminicidio, la poesia rifiuta ogni ambiguità: «L’amore non graffia, non uccide i sentimenti, non veste la rosa del nero dolore». È un verso che non allude, ma afferma, e proprio per questo colpisce. La poesia non consola soltanto: si espone, prende posizione, chiede al lettore di non voltarsi dall’altra parte.

Lo stesso accade nei testi contro la guerra, dove emerge una visione umanistica che supera confini e appartenenze. «Non contano razza, confini o bandiera, un’unica patria è la terra intera» non è uno slogan, ma una dichiarazione di fede civile che si inserisce in una tradizione di poesia etica e partecipata. Qui la parola poetica si fa ponte, messaggio, testimonianza, scegliendo consapevolmente la chiarezza al posto dell’ambiguità.


Accanto alla dimensione civile, la raccolta trova il suo punto di maggiore autenticità nei testi autobiografici. Quando la poesia si avvicina alla famiglia, all’infanzia, alla terra d’origine, il linguaggio si fa più essenziale e il verso acquista naturalezza. In Paese mio la nostalgia non è mai idealizzata, ma concreta, fatta di gesti quotidiani e di distacchi dolorosi: «Ti lasciai un dì col nodo in gola, col mio addio, senza dire una parola». Il paese diventa una ferita che non guarisce, ma anche una radice che continua a nutrire l’identità di chi se n’è andato.


Il cuore emotivo del libro è il poemetto Cenni di una vita, dove la vicenda personale dell’autore si trasforma in memoria condivisa. Il racconto della nascita, dell’infanzia, del lavoro nei campi, delle figure familiari non ha mai il tono dell’autocelebrazione, ma quello della custodia. La figura della madre emerge con particolare delicatezza: «Nella cucina il tepore ardeva, dove mia madre lasciava carezze». Sono versi semplici, ma capaci di evocare un mondo intero, perché si affidano ai dettagli e non alle dichiarazioni, lasciando spazio al riconoscimento del lettore.


Geometrie del canto non è un libro privo di limiti. Talvolta il tono si fa uniforme e la spinta morale prevale sulla ricerca linguistica più audace. Tuttavia, questa scelta appare coerente con l’intenzione dell’autore, che non mira allo sperimentalismo né alla rottura formale, ma a una poesia accessibile, diretta, capace di parlare a un pubblico ampio senza rinunciare alla dignità del verso.

È una poesia che non vuole stupire, ma restare; non vuole brillare, ma accompagnare. In un tempo in cui spesso la scrittura poetica si chiude nell’autoreferenzialità o nel puro esercizio stilistico, questo libro sceglie una strada diversa: quella della parola come custodia, della memoria come responsabilità, della poesia come gesto umano prima ancora che letterario.

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