Il piatto universale del Medio Evo è, lo sappiamo, il biancomangiare (declinato in tutte le lingue e varianti non solo linguistiche), ed ha lasciato il suo nome ad una specialità dolciaria che ormai ha molto poco in comune col piatto medievale: giusto il colore bianco (ma secondo alcuni storici della gastronomia in origine non si trattava di un blanc mangier, piatto bianco, bensì di un blant mangier, piatto blando, adatto per malati e convalescenti) ed il latte di mandorla addensato. Il piatto medievale, invece, prevedeva insieme col latte di mandorla (qualche volta sostituito con quello di capra) la presenza di carne di pollo, o di pesce per i giorni di magro. Un altro piatto del Medio Evo è invece scomparso anche come nome. E vale la pena di riproporlo, in qualcuna delle forme che assunse nel bacino del Mediterraneo, conservando sempre lo stesso nome, adattato foneticamente alle varie lingua. Meno universale del biancomangiare (non lo ritroviamo né in Francia né in Germania né in Inghilterra), è una presenza importante nei ricettari di area italiana e catalana, ed è di dichiarata derivazione araba, perlomeno nel nome ed in un paio di ingredienti caratterizzanti, il limone e le mandorle, anche se, quando passa dal mondo islamico a quello cristiano, viene radicalmente stravolto, tanto da essere irriconoscibile. Parliamo della Limonia, presente nel Liber de coquina redatto in Latino nell’Italia meridionale alla fine del XIII secolo, avendo come probabile predecessore un testo elaborato alla corte palermitana di Federico II; piatto in seguito ripreso da Maestro Martino, dal Platina e da Ruperto da Nola ovvero Mestre Robert, che scrive in catalano ma ha operato a Napoli, e, col nome di Llimonea, nel Llibre de Sent Sovì, steso in Catalogna intorno al 1324. E si tratta fin dal principio di ricette “adattate”. All’incirca contemporaneo del Liber de coquina è il Liber de ferculis (Libro delle portate) di Giambonino da Cremona, presente in Latino, ma mutilo, in un codice miscellaneo del tardo XIII secolo (lo stesso del Liber de coquina) del quale possediamo però una versione in Tedesco del XV secolo. Si tratta di un compendio di un più ampio trattato di dietetica e gastronomia compilato nel secolo XI da un medico di Baghdad, ibn Jazla. Giambonino tiene presenti anche le opere di un altro medico del secolo XI, ibn Butlan, più celebre ed autore di un enciclopedico Taccuino presto tradotto in Latino, e, a quanto pare, il libro dell’erudito alBaghdadi (1226 circa), disponibile oggi in Italiano col titolo “Il cuoco di Baghdad”. La Lemonia di Giambonino è uno stufato di “carne grassa e magra (ovina, presumibilmente) in piccoli pezzi”, messa a bollire in un calderone con olio di sesamo, agresto e un bastoncino intero di cannella, poi schiumata, quindi addizionata di cipolle, menta e succo di limone; quindi, quasi a fine cottura, di mandorle pelate; se sembra troppo acre, si aggiunge zucchero o miele. La più tarda Limuwiya del “Cuoco di Baghdad” è una elaborazione arricchita; è uno stufato in cui si usano “la carne e la coda” (ovine), messe a bollire in acqua con poco sale; si schiuma e si aggiungono cipolle, porri e carote, coriandolo secco, lentisco, pepe, cannella e zenzero finemente pestati e rametti di menta; si aggiunge nel calderone il pollo smembrato, e ancora succo di limone e mandorle pelate e ridotte in polvere, e ancora rametti di menta secca ed acqua di rose. Si può aggiungere zucchero, ma in tal caso non si usa la menta (in un altro trattato islamico di XIII secolo c’è una Limunyya di pesce al limone, con molte spezie ma senza mandorle). Quando arriva in Italia (“Liber de coquina”, fine XII secolo) il piatto prende il nome di Limonia, esatta traduzione del nome arabo. Cambiano però i metodi di cottura, e compare il maiale, proibito per l’Islam. Il pollo si soffrigge in lardo e cipolla; poi si tritano finemente mandorle pelate, si stemperano in brodo di carne porcina e si completa la cottura del pollo in questo brodo, aggiungendo spezie; in mancanza di mandorle il brodo potrà essere ispessito con tuorlo d’uovo. A fine cottura, prima di servire, si aggiunge succo di limone, di lumia o di arancia amara. Nel Sent Sovì la ricetta di Llimonea riguarda la sola salsa con cui guarnire il pollo, già più complicata rispetto al testo italiano. Parte da un latte di mandorla preparato con brodo di pollo e non acqua, ispessito con petto di pollo lessato e ridotto in purea, aggiunge un pizzico di zucchero, zenzero e zafferano, sale e succo di limone (in cottura). E veniamo a Mestre Robert e alla sua Limonada, sempre salsa per nappare il pollo: prepara un latte di mandorla con brodo di pollo; vi aggiunge uva passa pestata e passata dalla stamigna, mette a bollire aggiungendo zenzero e zucchero; a fine cottura, aggiunge il succo di limone e versa in scodelle individuali. Ognuno potrà aggiungere zucchero a piacere. Ancora variata, la ricetta del pollo alle mandorle e limone arriva fino al Rinascimento, con Bartolomeo Scappi, per poi scomparire.
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