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Storia
07 Maggio 2023 - 16:40
Benedetto Croce
[…] Mussolini aveva insistito per avere me al ministero […]. Ma ho ripetuto che non me la sentivo in alcun modo di entra in quella combinazione.
Benedetto Croce
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Giuseppe Galasso ha curato, con la nota finezza storiografica, un libretto (Soliloquio, Adelphi, Milano 2022, con Prefazione di Piero Craveri, nipote di Croce), una miniantologia, in grado di farci vivere dall’interno l’interrotto dialogo che Croce (1866- 1952) ha intrattenuto con sé stesso e di rivelarci così le motivazioni profonde della prodigiosa sua attività, mirata alla letteratura e alla storia, attraverso l’erudizione che l’avrebbe schiuso successivamente alla vita politica e sociale. Alla propria “autobiografia mentale” Croce ha dedicato, oltre al Contributo alla critica di me stesso (1989), numerosi luoghi delle sue opere, della corrispondenza (centomila lettere! solo poche pubblicate) e, soprattutto, del diario che, dal 1906, per oltre quarant’anni, ha tenuto nell’austero intento di “invigilare” sé stesso, giorno per giorno, «per l’utile distribuzione delle mie giornate» (p.93).
Dagli inizi, «quando non conoscevo l’arte dello studiare» (p.27), all’intero cammino di studi percorso «dal mio pensiero, nell’estetica, nella filosofia del linguaggio, nella storia della letteratura, nella storia dell’arte, della logica, nella teoria della storiografia, nell’etica, dell’economica e politica, e nella dottrina del diritto, e via discorrendo» (p.35). Con nettezza emerge la sua posizione antifascista: quando Mussolini nel 1924 licenziò Giovanni Gentile e chiese a Croce di sostituirlo, questi rifiutò quell’invito, essendo ormai chiara la fisionomia del fascismo: «Ciò che mi opprime veramente è la condizione generale degli spiriti in Italia e fuori d’Italia; la menzogna, la malvagità e la stupidità in cui siamo come immersi e quasi sommersi; gli atroci delitti ai quali si assiste impotenti (come è ora la fredda spoliazione e persecuzione degli ebrei, nostri concittadini, nostri compagni nostri amici, che per l’Italia lavoravano e l’Italia amavano non più né meno di ogni altro di noi; l’incertezza del domani in ogni sfera di vita, anche in quella privata e familiare; la mancanza di aria aperta in cui pensieri e sentimenti nostri respirino e s’incontrino e scontrino con quelli degli altri; l’indifferenza e l’ignoranza dei cosiddetti giovani che niente conoscono e di niente si appassionano, e coltivano un ottuso estetismo in verso e in prosa, nel quale si chiudono dandosi a credere di aver creato un nuovo mondo») pp. 94-95.
E ne sarebbe rimasto fierissimo avversario. Nel contempo divenne un fermo punto di riferimento dell’antifascismo fin da quando pubblicò, anche su sollecitazione di Giovanni Amendola, e diffuse, nel 1925, un “Manifesto degli intellettuali antifascisti” in contrasto a un analogo manifesto fascista promosso da Gentile. Non senza, però, l’amaro compiacimento derivante nel 1925 - dopo il rifiuto di sostituire Gentile come ministro dell’Istruzione- dal sentirsi «libero tra schiavi» (p.75). Fine analista del fascismo, «della rovina a cui ha portato l’Italia e della corruttela profonda che lascia in tutti i rami della vita pubblica» (p.103) e profondamente convinto che la «causa della libertà avrebbe alla fine prevalso sui totalitarismi fascistici e comunistici e che la libertà aveva di per sé più del futuro»(p.85), non si sottrasse mai dall’«esempio da dare di resistenza e di fede nell’avvenire»: fedele al messaggio di umanità e di libertà che aveva veicolato nella sua esistenza. Chiudo con le parole di Galasso che sono, in filigrana, un pressante invito a leggere queste (e tante altre) essenziali pagine crociane: «La sua filosofia di vita, il suo sempre moralmente orientato sentire e una nota di napoletana saggezza vi sono espressi con una nitidezza di eloquio e di forma del tutto rispondente all’ideale crociano» (p.119).
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