Cerca
La storia
19 Settembre 2025 - 08:49
Un treno storico - archivio
TARANTO - I rumori e la paura della guerra erano passati, eppure i treni rantolavano sui binari. Da Milano a Taranto e viceversa notti insonni in vagoni zeppi: i corridoi; i gabinetti di decenza occupati dalle valige; i viaggiatori afflosciati...
Il ferroviere non ce la faceva a tagliare la massa per il controllo dei biglietti. Ogni tanto la locomotiva fischiava, come per dire: “Pazienza, domani andrà meglio”, ma quel domani non arrivava mai. Alle stazioni intermedie si subivano scossoni e la folla oscillava. Qualcuno scendeva ma altri salivano. Non c’era speranza di guadagnare uno spazio minuscolo per poter respirare meglio. Se eri prigioniero nel cesso non potevi neppure guardare dal finestrino. La notte qualche luce baluginava, magari lontano; di giorno il paesaggio correva veloce come il vento. Quando conquistavi la destinazione, ti sentivi uno straccio. Scendevi dal predellino e ti accasciavi fra le braccia dei parenti in attesa magari da ore perché il tremo era in ritardo. Avevi voglia solo di andare a dormire. Ma non potevi staccarti da papà, mamma, fratelli e amici che ti avevano atteso con ansia.
Ah, quei ritardi, consumavano i nervi. Oggi i ritardi ci sono ancora, ma puoi viaggiare seduto o steso in una cuccetta. Puoi conversare con chi ti sta di fianco o di fronte, puoi prendere il caffè il mattino, addirittura svegliarti con il giornale fuori della porta dello scompartimento, se ti trovi nella classe privilegiata.
Eppure, ho nostalgia di quei convogli: mi ricordano altri viaggi, più brevi, da Taranto a Martina Franca, dove trascorrevo d’estate al massimo quindici giorni. Non di più: c’erano altri parenti che dovevano prendere il mio posto. Sognavo di avere un trullo tutto mio, per poterci stare il tempo che volevo. Non m’importava avere il ciliegio alto cinque piani, che scalavo come uno scimpazè. Il mio cuore batteva per il Chiancaro e per una casa a cono di gelato in fondo a un tratturo anche se con le pareti morsicate. Mi affascinavano l’atmosfera, il silenzio, la luce, il panorama con le vigne gravide e gli ulivi, ombre rassicuranti, alle quali avevo voglia di parlare.
Andavamo alla stazione di Taranto con la carrozza di Michele, che aveva la stalla e la casa due isolati da noi. Il cavallo era stanco di sgambare, il mezzo un po’ scricchiolante. Ma contava la meta. Ci alzavamo alle 5, Michele si presentava un’ora dopo con la bacchetta in mano, il treno partiva alle 7. Nella stazione di Martina cercavo con lo sguardo la piattaforma girevole, dove “’a Ciucculatère”, la locomotiva, si posizionava per poter cambiare il senso di marcia. Ne vedo tante su Facebook, spinte a mano da quattro o cinque addetti; ma quella di Martina è sepolta: emerge solo qualche pezzo arrugginito. Ma, a volerlo, potrebbe essere ripristinata e diventare la base di un monumento: la locomotiva, appunto.
Anni fa organizzarono un viaggio Bari-Martina con un treno per turisti con orchestre e prodotti locali da gustare a bordo. Chiesi a Dario De Simone dell’Aisaf di Bari: “A trainarlo sarà la locomotiva a vapore?”. “Stiamo tentando, ma abbiamo qualche problema”. E in Valle d’Itria arrivò un locomotore degli anni ‘50.
Il viaggio in treno entusiasma, soprattutto i bambini. Lo sferragliare quasi non lo avverti, chiacchierando con il vicino (tantissimi anni fa chi aveva voglia di leggere si sedeva nel vagone-lettura, con tanto di cilindro in testa, bastone e “papillon”). A me piace anche il dondolio, manca la musica di “Ninna nanna”. “Corri, treno, corri! Si dice che va come un treno a chi si fa onore. E il treno corre. Ma trova qualche intoppo e aspetta. Quanto? Non si sa, Dipende. E accumula ritardi. E alla stazione di arrivo chi ti aspetta soffre. Ed ecco rovinata un’avventura che potrebbe darti gioia. Stai per essere a Milano nel tempo previsto, ma alla stazione di Rogoredo il semaforo rosso impone una sosta più lunga del previsto. Arriva l’ansia. Proprio adesso che stavamo per immergerci nel grande ventre d’acciaio, che è la stazione lombarda.
Ogni viaggio ti fa palpitare, non sempre per la bellezza che ti si offre: una cascina con i contadini con la zappa in mano, un campo di granturco, un esercito di alberi a dividere un fondo dall’altro... Ma non andrei mai a Milano o da Milano a Taranto con l’autobus. Oltretutto mi stancherebbero i chilometri di autostrada. Con il treno, passando per San Benedetto, o quasi, vedi anche il mare, le sue onde, i trabucchi che sembrano abbandonati, qualche barca che danza, qualche persona solitaria che percorre la battigia a piedi nudi, in pieno inverno. Ha sicuramente una pena, quella persona: gli è sfiorito un amore.
Il viaggio in treno può essere istruttivo: un viaggiatore che racconta la sua storia, un altro il suo mestiere e l’ambiente in cui lo svolge, un altro ancora il suo fallimento: esperienze, opinioni, confidenze. Ti senti anche chiedere notizie sul tuo lavoro.
Quando sono a Martina, mi prende il desiderio di andare alla stazione, così piccola, così bella, così silenziosa, così tranquilla, con lo scampanellio per il treno che arriva. Ci vado per il treno proveniente da Bari o da Taranto, la littorina da Lecce. E una voce di dentro che mi stuzzica: “Prendilo, quel convoglio che sta partendo per Taranto!”. Un giorno lo presi mentre nevicava. Partì con un’ora di ritardo. Un’atmosfera da favola. Erano passati dieci minuti dall’orario previsto, quando comparve una signora con la valigia e due bambini attaccati alla sua gonna. Provai un brivido quando il treno partì fischiando con soste a Madonna del Pozzo, San Paolo, Crispiano, Statte… Alla fermata di Nasisi mi si affollarono i ricordi di quando avevo 12 anni. È lì che durante la guerra si fermava il treno, perché la stazione di Taranto presentava il pericolo delle bombe. Lì ci fermammo, mio padre e io, venendo da Martina per andare a vedere se la nostra casa fosse ancora in piedi dopo il bombardamento della notte precedente. Attraversando via Anfiteatro, sempre a piedi, vidi un palazzo sventrato. Al ritorno era già buio. Si vedevano delle lucciole brillare: la luce delle case sparse.
Il treno è parte della mia vita. Ai tempi dell’università in treno raggiungevo Bari. Mi alzavo alle 3 e il convoglio partiva alle 5 e ci impiegava ore, fermandosi a Gioia del Colle, dove si sentiva la voce del ragazzo che vendeva le mozzarelle. Al ritorno ero sul predellino a mezzanotte. Per me dunque il treno è stato anche sacrificio, ore tolte al sonno, esami sostenuti quasi sonnecchiando. Il treno allora era una tradotta, ribattezzato carro-bestiame. Tuttavia il rumore del suo movimento per me era, ed è, musica. A vent’anni andavo a Brindisi in Littorina. Mi alzavo alle 4 e dalle Tre Carrare andavo alla stazione a piedi, percorrendo la città addormentata. Una volta il conduttore mi concesse di fare il viaggio nella sua cabina. Uno strappo alla regola. M’inebriava vedere la Littorina, velocissima, ingoiare le rotaie. Era un lampo. Poi andavo al giornale, “Il Mezzogiorno”, dell’avvocato Margherita, dove trovavo Livio De Luca, un grande giornalista del “Corriere Lombardo” di Milano trasmigrato al Sud quando s’innamorò della donna che diventò sua moglie. Fu quella la mia prima esperienza come “cuciniere” in un settimanale (leggevo gli articoli, li titolavo, li impaginavo, correggevo le bozze...). Al “Corriere del Giorno” portavo gli articoli e via.
Una volta presi il treno per andare a Ferrandina; un’altra volta sbagliai treno e invece di tornare a Taranto da Martina presi quello che andava a Bari e scesi a Locorotondo. Fortuna fu che trovai un amico rappresentante di commercio che in macchina veniva da Noci ed era diretto proprio nella mia città, a due passi dal mio quartiere. Il treno è ancora la mia passione. Sospiro le vacanze a Martina Franca e il convoglio che mi ci deve portare. Anche se non c’è più “’a Ciucculatère”.
Oggi faccio collezione di trenini. Anni fa realizzai anche un plastico, con la galleria con i muri tappezzati con una carta con mattoni disegnati, i prati, le automobiline sulla stradina, la stazioni, i viaggiatori, il capo con il berretto rosso. Lo vedevo andare e venire, quel trenino, e sognavo, inondato dai ricordi. Lo rifarei ancora oggi quel percorso in miniatura. Più va avanti l’età e più si torna indietro. Almeno così si dice.
I più letti
Testata: Buonasera
ISSN: 2531-4661 (Sito web)
Registrazione: n.7/2012 Tribunale di Taranto
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Piazza Giovanni XXIII 13 | 74123 | Taranto
Telefono: (+39)0996960416
Email: redazione.taranto@buonasera24.it
Pubblicità : pubblicita@buonasera24.it
Editore: SPARTA Società Cooperativa
Via Parini 51 | 74023 | Grottaglie (TA)
Iva: 03024870739
Presidente CdA Sparta: CLAUDIO SIGNORILE
Direttore responsabile: FRANCESCO ROSSI
Presidente Comitato Editoriale: DIEGO RANA