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Il caso
03 Agosto 2025 - 06:43
Il porto di Taranto
TARANTO - Per molti addetti ai lavori, la notizia è la dolorosa conferma di un già noto declino. Il porto commerciale di Taranto oggi di fatto esce dal circuito del traffico container internazionale. La decisione della compagnia di navigazione francese CMA CGM di spostare il servizio "Bora Med Service" da Taranto a Salerno rappresenta un duro colpo agli investimenti e alle speranze riposte in questa infrastruttura ionico-mediterranea.
Per meglio comprendere, il Bora Med Service (BMS) è un servizio di trasporto marittimo di container offerto dalla compagnia di navigazione francese CMA CGM. L'obiettivo di questo servizio è creare un collegamento settimanale e regolare per il commercio marittimo, tra la Turchia, l'area adriatica e il Mediterraneo orientale. Si tratta di una linea che coinvolge diversi porti importanti in questi bacini, tra cui, a seconda delle rotazioni, città come Ancona, Ravenna, Venezia, Trieste, Koper (Capodistria), Rijeka (Fiume), Bar, Taranto e Malta, oltre a diverse destinazioni in Turchia, Libano ed Egitto.
Così l'evento odierno assume una gravità particolare, per di più se aggiunto al peso dell'attuale quadro di crisi economica tarantina. Il nostro territorio, segnato da decenni di monocultura totalizzante della siderurgia, sta attraversando una delle fasi più complicate della sua storia industriale. Mentre il futuro dell'ex Ilva rimane incerto e la transizione ambientale si scontra con ostacoli strutturali e sociali, la ricerca di settori alternativi, che possano rilanciare l'economia locale, è adesso l'assoluta priorità. Il porto, con i suoi pescaggi profondi e la sua posizione precipua nel Mediterraneo, è visto come uno dei pilastri su cui costruire la nuova prospettiva di sviluppo. E l'uscita dal traffico container internazionale rappresenta un duro colpo a tale visione e su questa dirittura.
L'impatto economico sarà tangibile; meno merci in transito si traduce in meno lavoro per terminalisti, lavoratori portuali, agenzie di spedizione e per l'intero indotto portuale. Si tratta di posti di lavoro, diretti e indiretti, messi in discussione in un momento in cui la disoccupazione è già una piaga sociale. Inoltre, la perdita di questo servizio non è solo l'abbandono di un importante operatore, ma rappresenta la rottura di una catena di valore e di una connessione con il network logistico globale, molto difficile da ricostruire. L'attrattività dello scalo ionico come hub di transhipment, ossia di smistamento di container da navi madri a feeder più piccoli, viene drammaticamente compromessa.
Ora, la domanda è: quale sarà la "ricollocazione" del porto di Taranto nella rete nazionale e internazionale? Con la perdita dei container, l'infrastruttura rischia di scivolare in una posizione marginale, diventando un porto "locale" o, nella migliore delle ipotesi, specializzato in nicchie di mercato che, per quanto rilevanti, non darebbero gli stessi ritorni del grande traffico commerciale. Il confronto con i porti del Tirreno e del Nord Adriatico è spietato, e senza un'offerta di servizi competitiva, Taranto faticherà a farsi largo. È in questo scenario che emerge l'urgenza di una riflessione consapevole e di una strategia istituzionale chiara. Il porto di Taranto deve reinventarsi. Si possono e si devono esplorare alternative o complementi, come il traffico ro-ro (cioè il trasporto di mezzi gommati), il traffico di rinfuse liquide e solide, e il potenziamento dei collegamenti intermodali con l'entroterra; pur tuttavia ciò non basterebbe. Comunque ci sarebbe un'opportunità, quella di puntare su specifici settori che ancora non sono saturi. Però sarebbe un percorso ad alto rischio d'impresa e richiederebbe impieghi immediati, ingenti e mirati nonché una gestione attenta, capace di leggere le avanguardie e anticipare le dinamiche dei mercati globali.
La risoluzione di CMA CGM supera, quindi, la portata del clamoroso annuncio di cronaca e diventa un monito severo. Taranto ha perso un pezzo essenziale del suo modello di progresso. Ora deve darsi da fare anche su questo fronte appena aperto e dimostrare che la città non è disposta ad accettare la periferizzazione, ma ha la volontà e la tenacia di "riscrivere" la sua storia ecologica ed economica. La sfida è enorme, ma l'alternativa è inaccettabile.
Raffaele Bagnardi
Sociologo del Lavoro
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