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Le tre strade per uscire dalla crisi tra città e industria

A Taranto il sindaco di Udine, Alberto Felice De Toni, ingegnere esperto in gestione della complessità

Alberto Felice De Toni

Il sindaco di Udine, Alberto Felice De Toni

Alla Cittadella delle Imprese si è tenuto il secondo incontro nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2023 promosso da ASviS. Tema: “Le città e le imprese: un nuovo rapporto nell’economia degli stakeholder”, realizzato in partnership con Centro di cultura per lo sviluppo “G. Lazzati”, CNEL, AISEC, Federmanager Puglia, Happy Network. Sono intrvenuti, fra gli altri, il commissario della Camera di Commercio, Gianfranco Chiarelli, il direttore scientifico ASviS, Enrico Giovannini, Roberto Pensa di Federmanager, il Presidente di Acciaierie d’Italia, Franco Bernabè, la presidente di AISEC Eleonora Rizzuto, il vice Sindaco di Taranto Fabrizio Manzulli, il presidente del Centro di Cultura Lazzati, Domenico Amalfitano. Tra gli ospiti, il  professor Alberto Felice De Toni, docente dell’Università di Udine e neoeletto Sindaco di Udine, espero in gestione dell’innovazione e della complessità. Lo abbiamo intervistato.

Professor De Toni, lei ha compiuto una magia politica: è riuscito a mettere insieme Pd, Italia Viva e Cinquestelle. In fondo è un esempio di gestione della complessità...

I pronostici non ci davano favoriti. Il sindaco uscente era della Lega e da noi si votava anche per la Regione con Fedriga che gode di grande consenso. A Udine, Fedriga ha preso il 55%, mentre il sindaco uscente al primo turno era al 46%, io al 40%. Questo significa che il 9% degli elettori ha votato Fedriga alla Regione e me, candidato civico, al Comune. Al ballottaggio siamo riusciti a fare l’accordo con una lista che comprendeva Rifondazione e Cinquestelle, mentre il centrodestra nonb è riuscita ad allearsi con una lista nella quale c’erano anche no vax. Insomma, al ballottaggio siamo riusciti a mettere insieme insieme tutto  ciò che non era centrodestra, un’operazione molto difficile. 

Occorre una grande capacità di mediazione per riuscirci.

Vede, se andiamo sulla logica delle appartenenze c’è poca chance di convergenze; noi invece siamo riusciti a costruire la convergenza su un progetto, pensando ad una città del terziario avanzato innervata nel digitale. Abbiamo proposto una idea di città rigenerata per fare di Udine una città mitteleuropea fondata sulle sue vocazioni, innanzitutto l’agroalimentare. Qui come università abbiamo lanciato scienza e cultura del cibo: 200 iscritti all’anno provenienti da tutta Italia. Abbiamo unito le vocazioni storiche alla smart city. Siamo risuciti a unire forze lontane intorno ad un progetto. Il centrosinistra dovrebbe avere un progetto di Paese, perché sulle singole misure rischiamo grandi divisioni. Il progetto deve essere il polo attrattore delle forze politiche.

Come si governa la complessità in un Paese dove è più facile ottenere consensi con il populismo che però, alla prova dei fatti, risulta inadeguateo ad affrontare e risolvere i problemi?

Io ho parlato poco alla pancia e tanto alla testa degli elettori. Provengo da un percorso universitario che mi dava reputazione. Complessità vuol dire gestire le persone con cui devi confrontarti e le persone hanno bisogno di fiducia e riconoscimento e io ne ho dato anche a chi ha idee diverse dalle mie. Ho sempre posto grande attenzione al pluralismo, alla diversità anche di pensiero. Oggi tutti i problemi non sono risolvibili, ma se si ha fiducia, i problemi si possono risolvere. Ad esempio: se ho una mensa da cento posti e mi si presentano duecento persone, io dico: cento a pranzo e cento a cena. Ma i cento che devono aspettare la sera devono potersi fidare. La fiducia è l’elemento fondante per risolvere problemi complessi in una fase in cui le  risorse sono minori rispetto alle esigenze. Il tempo è una grande variabile per risolvere i problemi, ma può entrare in gioco se c’è fiducia. Il tutto e subito spacca tutto. Per mediare bisogna lavorare in condizione di fiducia e proiezione temporale.

A Taranto si vive una situazione di grande complessità e conflittualità intorno alla presenza della grande industria. Quali strumenti per superare una così profonda crisi? 

A Taranto si parte da un percorso che ha creato rancori e conflitti. Il controllo pubblico credo che sia un must per una industria di queste dimensioni. Lo Stato ha fatto bene a riprendere il controllo dell’azienda, la gestione privata è troppo orientata agli interessi degli azionisti. Bernabè è figura di alto profilo, speriamo sia in grado di districarsi in questa matassa complicata. Con grandi investimenti si può ridurre drasticamente il rischio ambientale, che è un punto centrale. L’altra azione è la compensazione. L’unico modo che abbiamo per incentivare l’accettazione di penalizzazioni è compensare con servizi e investimenti sul territorio. A Udine, ad esempio, abbiamo una polemica su un crematorio: nessuno lo vuole. Stiamo allora immaginando azioni di compensazione. Stesso discorso per i termovalorizzatori. Lo dico con certezza: oggi non inquinano. Bisogna quindi distinguere ciò che viene percepito da quella che è la realtà. Quindi: mano dello Stato, riduzione drastica dell’inquinamento, compensazione: con queste tre leve c’è possibilità di trovare degli equilibri. Questa è la soluzione più realistica, poi le ali estreme ci saranno sempre. La vita è sempre in un equilibrio dinamico.

Lei, come sindaco di Udine, parla di progettualità della comunità e propone un patto con la Regione, che è di segno politico opposto. Come è possibile tenere insieme i tanti attori di una comunità?

Non è facile, ma è doveroso provarci. La Regione è al  centrodestra, noi siamo l’unica realtà civica di centrosinistra, ma le istituzioni hanno il diritto-dovere di collaborare al di là del colore politico. Sono stato l’altro giorno dal presidente Fedriga, gli ho annunciato il patto di legislatura e lui lo ha accettato con grande favore. Le istituzioni sono la nostra casa comune, dobbiamo essere attenti a come le arrediamo. Anche al mio interno ho posizioni estreme, ma bisogna tenere la linea, altrimenti si perde la credibilità. La gestione della complessità è il coraggio della mediazione: i successi nascono dalle alleanze, bisogna saper costruire il punto di equilibrio di una realtà che è sempre in movimento. Bisogna saper mediare.

Per saperlo fare occorre molta formazione e in Italia la formazione, soprattuto in politica, sembra scarseggiare...  

Io non sono mai stato iscritto ad un partito, ma ho frequentato l’Agesci, ho partecipato al movimento studentesco, ho sempre vissuto la passione politica. Ho avuto maestri come Balducci e Bianchi, ho partecipato a scuole formative, sono venuto spesso qui a Taranto a fare docenze per la scuola Lazzati di Amalfitano. La politica è la cosa più complessa e per farla devi avere strumenti molto profondi di conoscenza della politica storica e sociale, ma anche dei temi della complessità, disciplina recente ma molto fertile. La formazione è centrale, è trasformativa. Ognuno ha un suo accumulo di conoscenze e valori, ma l’apprendimento retroagisce: l’aggiunta di nuovi concetti trasforma la persona. Oggi scriverei in maniera diversa cose scritte trent’anni fa. Una persona apprende finché vive, un’organizzazione vive finché apprende. Se una qualsiasi organizzazione non apprende è destinata al declino. La formazione innesca processi di metamorfosi dinamica degli approcci. La formazione genera relazioni. A Udine vogliamo realizzare il welfare del condominio, dove sviluppare dinamiche di solidarietà e collaborazione tra gli inquilini: questo genera relazioni e socialità, ma le persone vanno formate.

Da sindaco di una importante città del Nordest, cosa pensa dell’autonomia differenziata?

Bisogna innanzitutto vedere se dietro queste parole si nasconde una riduzione di finanziamenti, che poi è il timore delle regioni del Sud. Poi, non ho capito perché questa autonomia debba essere differenziata. Quando un problema diventa troppo complesso si deve decentrare, solo che abbiamo una idea verticale del potere mentre è fondamentale avere una visione orizzontale. Se diamo l’autonomia alle regioni ma poi non premiamo la collaborazione, questa autonomia può degenerare in conflitto delle periferie. Se non c’è cooperazione riproduciamo le stesse distorsioni dell’accentramento che vive lo Stato. Un progetto che prevede autonomia ma non prevede premi alla cooperazione è monco, ha una sola dimensione verticale. Le cooperazioni vanno incentivate. Autonomia senza cooperazione significa non aver compreso l’essenza della questione.

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