Rappresentanti dello Slai Cobas nel pomeriggio di mercoledì si sono recati all’hotspot di Taranto: ne è emerso un quadro della struttura che dovrebbe svolgere un ruolo di transito per i migranti, in vista della loro ricollocazione. «Per la prima volta siamo potuti entrare nel centro, altre volte ci era stato vietato. Ci ha ricevuto e risposto alle nostre domande il direttore responsabile del campo, della cooperativa Officine sociali che dall’ottobre scorso gestisce la struttura» si legge in una nota dello Slai Cobas. Al momento ci sono 92 immigrati, 38 donne e 54 uomini, tra cui 6 minori, 3 maschi e 3 femmine. Le nazionalità sono molte: Palestina, Bangladesh, Camerun, Congo, Eritrea, Guinea, Mauritania, Pakistan, Costa d’Avorio, Nigeria, Siria. «Da quando la struttura è gestita dalla Officine Sociali il picco di presenze si è avuto il 5 gennaio con 293 persone, ma già nei giorni successivi 85 minori sono stati trasferiti nei vari centri. Poi, tra ulteriori trasferimenti che continuano e allontanamenti volontari di varie decine di migranti in questi giorni, il numero dei migranti alloggiati in hotspot è calato fino al numero attuale. Quindi siccome l’hotspot uficialmente potrebbe ospitare fino a 400 persone, non ci sarebbe ora un problema di sovraffollamento, ma sicuramente c’è un problema grave di condizioni di alloggiamento» spiegano dallo Slai Cobas. «Di fatto» si legge in una nota «la maggiorparte delle persone dorme insieme in tensostrutture, tendoni dormitorio di 45 posti letto o di 25, vi sono dei divisori che però chiaramente non permettono alcuna privacy; qui si sta male sia d’estate che d’inverno; ora ci sarebbero dei riscaldamenti ma non bastano proprio per il tipo di strutture; solo le coppie con bambini (ora sono 4) stanno insieme in moduli prefabbricati (ce ne sono 5), che possono ospitare al massimo 14 persone. Nei due giorni passati ci sono state continue proteste, soprattutto da parte delle donne per l’eccessiva durata della permanenza nell’hotspot. L’assegnazione e i trasferimenti dei migranti in strutture esterne è lentissima, specie per gli adulti non accompagnatori di minori, che restano anche 40-60 giorni. Ma già 4/5 giorni di permanenza, chiusi nell’hotspot, cominciano a diventare pesanti, pensiamo quando diventano tanti. Non c’è niente per i bambini; calze con i dolci nel giorno della Befana, come dei palloni, sono stati portati dal responsabile della cooperativa di sua iniziativa». «Le proteste sono state anche per la situazione inaccettabile dello stato dei servizi igienici: il numero dei bagni e delle docce è assolutamente insufficiente, ce ne sono appena 8, meno di un terzo almeno di quelli che sarebbero necessari a garantire un’igiene decente; per di più molti piatti doccia o water sono rotti o con gli scarichi otturati, quindi inservibili. Ci sono 4 scalda acqua ma quando l’acqua calda finisce occorre aspettare che si rinnovi la riserva». Continua lo Slai Cobas: «La protesta è anche per i pasti che sono forniti dall’esterno, da una ditta che non ha un punto cottura a Taranto ma cuoce e invia i pasti da Bari. Col gruppo di migranti precedente si era in qualche misura concordato un menù ma con quelli attuali ancora non si è riusciti a farlo». I migranti «si sentono come in prigione, vogliono almeno avere la libertà di uscire e rientrare» e comunque, «una volta usciti, comunque, resta la difficoltà di raggiungere la città. Chi esce deve camminare a lungo per raggiungere la stazione o il porto mercantile e prendere un bus per cui però non può neanche pagare il biglietto, dato che il pocket-money è di soli 2,5 euro al giorno e in generale viene dato in un unica soluzione solo quando i migranti lasciano il campo per essere trasferiti altrove. Circa il vestiario, all’arrivo viene dato un kit di biancheria, tuta, scarpe, abiti e giubbotto, asciugamani, lenzuola, coperta, detergenti. Ma chiaramente per chi resta a lungo è insufficiente». Sul piano sanitario, dicono i rappresentati dello Slai Cobas che hanno visitato la struttura, «non ci sono stati casi recenti di Covid nè di malattie serie Ci sono 5 medici e 5 infermieri e una psicologa che si alternano in turni dal lunedì al sabato. I problemi maggiori sono per le donne incinte, le più esposte a infezioni e che vengono portate in ospedale solo per partorire. Ancora di più soffrono i minori non accompagnati, che non possono uscire se non di nascosto e che per il tempo che restano in hotspot non possono fare niente».
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