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La vertenza
30 Marzo 2022 - 20:30
Il presidio davanti all'ex Ilva
È, storicamente, un fronte caldo della complessa vertenza che ruota attorno al siderurgico: l’universo dell’appalto ex Ilva continua a vivere giorni difficili.
«Nel quadro generale dell’evoluzione delle vicende legate alla grande fabbrica di Acciaierie d’Italia e alla palese indisponibilità della stessa azienda a gestire in maniera chiara e corretta l’amministrazione dell’appalto, si sta a tutti gli effetti sfilacciando e degradando il comparto delle centinaia di piccole e medie imprese del territorio ionico, prevalentemente mono committenti collegate ad essa»: così il segretario con delega Appalto e Territorio della Fim Cisl Taranto Brindisi, Pietro Cantoro, il quale puntualizza inoltre che «nonostante le numerose commesse esistenti nel portafoglio, di attività necessarie e finalizzate al proseguimento della produzione e al consolidamento della tenuta strutturale impiantistica in AdI, anche subordinate e connesse alle attività dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), le aziende d’Appalto continuano a permanere in uno stato di totale e forzato immobilismo».
C’è poi un aspetto non trascurabile. «Ad un proporzionale e crescente incremento di volumi produttivi – evidenzia Cantoro - gli interventi manutentivi non solo di carattere ordinario ma anche straordinario, vengono clamorosamente trascurati e posti in secondo piano. Il tutto a discapito della necessità e dell’urgenza di intervento impiantistico, nonché della sicurezza dei lavoratori». Per la Fim Cisl, quindi, la condizione posta in essere, non solo di fatto determina situazioni estremamente critiche sotto il profilo di esposizioni al rischio tenuta impianto, ma di rimando, collassa interi comparti delle aziende d’appalto che sono costrette inevitabilmente ad aprire procedure di cassa integrazione o addirittura a chiudere. «La situazione risulta ulteriormente aggravata dalla cronica difficoltà finanziaria, causata dalle dilatate e arbitrarie tempistiche di pagamento della committente Acciaierie d’Italia e dal crescente disequilibrio strutturale legato ai ritardi nei pagamenti, causativo, tra l’altro, dell’accumulo di crescenti ritardi nei pagamenti delle competenze dei dipendenti della società e di crescenti difficoltà di pagamento di fornitori e approvvigionamento delle materie prime. Ciò – aggiunge Cantoro - ha determinato, da ultimo, la mobilitazione di alcune delle organizzazioni sindacali che hanno richiesto ad Acciaierie d’Italia di procedere allo sblocco dei pagamenti dovuti di alcune aziende. Tali iniziative hanno, tuttavia, determinato uno sblocco solo parziale dei pagamenti e dello scaduto di alcuni mesi, che non ha visto ingenerare una soluzione definitiva ne’ tanto meno un cambio di approccio alla problematica». Pietro Cantoro fa presente, infine, che in questo già difficoltoso contesto, a tutto ciò si aggiunge l’impossibilità di molte delle società, a poter attingere a fonti di finanziamento esterno per far fronte alla situazione sopra evidenziata. «Per evitare il baratro, a fronte del disastroso e drammatico contesto posto in essere – conclude – auspichiamo un definitivo cambio di passo, che vada nella direzione di smorzare le grandi tensioni sotto il profilo economico e sociale che si sono abbandonate e scaricate alla collettività». Intanto, dopo il mancato accordo, rimane alta la tensione tra Acciaierie d’Italia e sindacati.
“Fino all’ultimo minuto a disposizione abbiamo cercato di far ragionare l’azienda per farle assumere scelte di responsabilità verso i lavoratori. L’azienda ha perso un’occasione importante per cambiare il futuro dell’ex Ilva e dare una speranza a tutti lavoratori. Invece, ancora una volta, sono gli stessi lavoratori a pagare il costo più alto di una situazione che va avanti ormai da troppo tempo e che è figlia di un fallimento aziendale e politico. La situazione di forte crescita del mercato, le parole del Premier Draghi sulla centralità dell’ex Ilva per la siderurgia nazionale e l’obiettivo produttivo di 6 milioni tonnellate sono condizioni che non giustificano tremila esuberi. Al contrario, deve essere previsto il rientro a lavoro di tutti gli 8.200 a Taranto e 10.700 in tutto il Gruppo, così come previsto dall’accordo del 2018, unico valido e votato dai lavoratori. Non potevamo mai accettare tremila esuberi strutturali, vogliamo salvaguardare l’occupazione, l’ambiente e il futuro industriale”: lo dichiara Rocco Palombella, segretario generale Uilm. “L’azienda oltre alla previsione di 3mila esuberi non ci ha dato alcuna indicazione specifica sul futuro assetto societario che potrà avvenire a maggio, se ci sarà o meno la salita al 60% di Invitalia – continua – nè sulle tempistiche di costruzione e messa in marcia del forno elettrico, dell’impianto di pre ridotto e dell’altoforno 5. Con questo piano l’azienda prevede nel tempo il licenziamento di 3mila lavoratori, a cui si aggiungono i 1.700 attualmente in Amministrazione straordinaria – aggiunge – un disastro occupazionale inaccettabile. Dopo questo atto incomprensibile da parte dell’azienda vogliamo capire dal Governo cosa intende fare, se può permettere tutto questo – conclude Palombella – noi metteremo in campo ogni iniziativa per difendere i lavoratori e per garantire il risanamento ambientale e il futuro industriale”.
Il segretario nazionale Fim Cisl Valerio D’Alò ha commentato così l’esito del vertice ministeriale: “Durante la trattativa come sindacato abbiamo fatto il possibile per colmare le distanze che c’erano con l’azienda; sia sui numeri dei lavoratori che sarebbero stati interessati dalla procedura, che sulle modalità di gestione della stessa, nonché del trattamento dei ratei per i lavoratori posti in cassa- questo perché - sottolinea D’Alò - ormai i loro salari sono stati falcidiati per troppi anni dagli strumenti di ammortizzatori sociali utilizzati. Come Fim Cisl pensavamo ad un piano transitorio per un anno, per poi capire cosa sarebbe successo dopo e sulla base della produzione modulare il numero delle persone interessate, l’azienda invece ha chiesto un piano su tre anni, all’interno dei quali rimettere in discussione anche i numeri sanciti nell’accordo sindacale del 2018 in cui la piena occupazione era sancita a 6 mln di tonnellate. In sostanza oggi l’azienda ci ha detto voleva produrre 2 milioni di tonnellate in più (arrivando a 8 mln di tonnellate), con lo stesso personale e quindi non aumentare gli organici. Come Fim Cisl abbiamo fatto presente che aumentare il tonnellaggio doveva essere legato alla ripartenza delle linee di finitura all’interno degli stabilimenti in tutta Italia, in particolare in quello di Taranto, e che all’aumento di una sola tonnellata di acciaio per noi voleva dire meno lavoratori in ammortizzatori sociali e non il contrario. S u questi punti le distanze con l’azienda sono state insormontabili, non siamo riusciti a trovare un’intesa e per cui non c’è stata nessuna possibilità di gestire un accordo che avrebbe richiesto più ammortizzatori anche a fronte di un aumento della produzione. Per la Fim Cisl il mancato accordo è stata una grande occasione persa a per rilanciare le relazioni industriali ed evitare che per l’ennesima volta l’azienda gestisca gli ammortizzatori sociali in maniera unilaterale”.
Per la Fiom hanno parlato Francesca Re David, segretaria generale dei metalmeccanici Cgil e Gianni Venturi, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile siderurgia: “La Fiom ha riconfermato la disponibilità ad un accordo di transizione per 12 mesi considerando la straordinarietà e l’incertezza del contesto, senza mettere in discussione l’accordo del 2018 e la piena occupazione. Acciaierie d’Italia ha invece introdotto elementi che avrebbero predeterminato il futuro confronto sul piano industriale e occupazionale. Non si può ipotizzare il ricorso ad uno strumento per 12 mesi e prevedere il rientro dei lavoratori nel 2025 vincolato ad una risalita produttiva diversa da quella definita nel 2018. Si è persa l’occasione di affrontare una fase di transizione così delicata e complessa con adeguate relazioni sindacali”.“Per quanto riguarda la Fiom, una gestione unilaterale della cassa integrazione straordinaria comporta a maggior ragione una verifica stringente sull’uso corretto dello strumento, a partire dalle rotazioni e dal rapporto fra risalita produttiva e organici – concludono -. Diventa sempre piu urgente l’avvio del tavolo con il Governo sui futuri assetti societari e sui contenuti e sui tempi del piano industriale e ambientale. Resta per noi punto fermo la piena occupazione e la salvaguardia dei lavoratori in amministrazione straordinaria”.
Per il coordinamento nazionale Usb Acciaierie d’Italia, “l’azienda getta la maschera e mostra che in realtà i numeri di cassa sono esuberi strutturali. Abbassate le unità da porre in cassa integrazione da 3000 a 2750 e riconosciuto solo il rateo della tredicesima. Ma per l’azienda il tutto mira a realizzare il nuovo piano industriale, di cui ignoriamo i contenuti, e che vede esclusi i 1700 ex Ilva in As; noi invece abbiamo ben presente l’accordo del 2018 secondo cui, con u na p roduzione superiore a 6 e fi no a 8 milioni di tonnellate, andavano richiamati i 1.700. Se avessimo firmato questa cassa integrazione, avremmo certificato l’uscita di scena dei 1.700 lavoratori. Avevamo mostrato disponibilità a sottoscrivere, con un altro ammortizzatore sociale, un accordo che prevedeva integrazione salariale, riconoscimento dei ratei e rotazione, oltre all’applicazione dell’Accordo di Programma anche per i lavoratori dello stabilimento di Genova, esistente dal 2005. Caduta nel vuoto anche la nostra richiesta di aprire urgentemente un tavolo sull’appalto per affrontare e risolvere la grave situazione in cui si trova il tessuto economico costituito dalle aziende che ruotano attorno alla fabbrica, e per risollevare i tanti lavoratori che purtroppo non vengono pagati puntualmente come diretta conseguenza proprio dei ritardi di Acciaierie d’Italia nei confronti delle aziende dell’appalto. Ma il confronto dimostra purtroppo ancora una volta q uanto il Governo sia assente in questa trattativa e quanto l’azienda sia distante dalle esigenze dei lavoratori. Questo è inaccettabile, il tavolo si è dunque concluso con un mancato accordo. Si registra intanto una buona notizia: convocato dal presidente della task force regionale Leo Caroli e dall’assessore regionale al Lavoro Sebastiano Leo per l’8 aprile alle 15, il tavolo per i Lpu, proprio per i lavoratori in amministrazione straordinaria”.
Il segretario nazionale Ugl Metalmeccanici Antonio Spera ed il vice segretario nazionale con delega alla siderurgia Daniele Francescangeli dichiarano: “L’azienda si è arroccata sulle sue posizioni sulla richiesta di cigs. Le garanzie richieste dalla Ugl Metalmeccanici che dovevano essere propedeutiche a traguardare l’apertura dell’ammortizzatore sociale per dodici mesi non sono arrivate, svelando così le reali intenzioni dell’azienda, che invece voleva nei fatti una ristrutturazione che traguardasse il 2025. Su queste premesse emerge inevitabilmente un mancato accordo. Le organizzazioni sindacali hanno perseverato per comprendere le fondate ragioni e la vera attuabilità della Cigs probabilmente inapplicabile soprattutto considerando il regime produttivo, come dichiarato dall’Azienda, in fase di incremento immediato, ipotizzando una produzione per il 2022 di circa 6 milioni di tonnellate, per giungere poi ad 8 milioni nel 2025, tempo massimo previsto dal piano industriale per la riorganizzazione”.
Per la Rsu Ugl Alessandro Dipino “le troppe incognite nel modo e nei tempi dì realizzazione del suddetto piano industriale e della ristrutturazione organizzativa, hanno destato non poche perplessità alla Ugl, soprattutto in riferimento al reintegro dì tutti i lavoratori coinvolti nella procedura in essere. Riteniamo valido l’unico accordo sottoscritto nel settembre del 2018 presso il Mise, in cui abbiamo ben definito la salvaguardia dì tutti i Lavoratori puntando ad una produzione eco compatibile che tuteli l’ambiente e la salute dei cittadini. Tale accordo, con un piano industriale di quasi 7 anni, prevedeva un rientro della forza lavoro direttamente proporzionale alla salita della produzione, col reintegro dei Lavoratori Ilva in As, mai iniziato. Rimane il fatto che saremo spettatori attivi, in attesa di verificare come ed in quali tempi Acciaierie d’Italia agirà per portare la produzione a 6 milioni di tonnellate, considerando che la stessa Azienda ha dichiarato che allo stato attuale siano in marcia i 3 Altoforni, 2 Acciaierie, il Treno Nastri 2 ed in ripartenza il Treno Nastri 1, il Treno Lamiere e molte delle linee a freddo. Resta l’amaro in bocca per non essere riusciti a trasmettere ad Acciaierie d’Italia le intenzioni a salvaguardia dei lavoratori. A seguito di questo mancato accordo sulla cigs, l’Azienda potrebbe applicare gli ammortizzatori sociali, unilateralmente, a scapito ancora una volta delle tanto desiderate relazioni industriali costruttive, frutto di contrattazione e confronto”. Conclude il segretario generale Ugl di Taranto Alessandro Calabrese: “Non dobbiamo dimenticare che in questa vertenze sono presenti rami d’azienda ove, una ristrutturazione dettata dai numeri generali ed una cassa integrazione per le medesime motivazioni, hanno generato una mancanza organica al limite di ogni ragione. Inoltre ricordiamoci che l’appalto non può essere considerato irrilevante, visti i numeri importanti sull’occupazione e che in questo momento subisce, mancati o ritardi di pagamento, nonostante la produzione in aumento. Il Ministro è l’unico che avrebbe il potere per farci giungere ad un accordo futuro a salvaguardia dei Lavoratori e degli investimenti statali, passati e futuri”.
(articolo del marzo 2022)
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