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UMORISTICO

Nobel

di Milena Contini

Bovindo

Bovindo – racconti da leggere, autori da scoprire è la rubrica dedicata a chi desidera far conoscere la propria voce letteraria e condividere il piacere del racconto breve.
Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, Bovindo propone un nuovo racconto, scelto tra autori esordienti e scrittori già affermati, offrendo ai lettori uno sguardo privilegiato sulla narrativa italiana contemporanea: una finestra luminosa da cui osservare il mondo attraverso tante piccole grandi storie.
Gli autori interessati possono inviare all’indirizzo bovindo2025@gmail.com il proprio racconto indicando nome, cognome, luogo di residenza e contatto telefonico. I testi, in lingua italiana e a tema libero, non dovranno superare le quattro pagine (formato A4, file Word). Sono ammessi racconti editi o inediti, senza limiti di genere. Per ulteriori informazioni: cellulare 327 1371380. Bovindo è uno spazio aperto e inclusivo, dove la scrittura respira, il talento si riconosce e ogni voce trova il suo lettore.


Nobel

di Milena Contini

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S’ero emozionato quel giorno!
Del resto, non stavo andando al parco col cane, ma mi accingevo a intervistare lo scrittore più talentuoso del mondo. Al suo attivo una trentina di romanzi, un paio di raccolte poetiche, centinaia di racconti… però, piccolo particolare, non aveva mai pubblicato nulla.
Le sue opere avevano fatto il giro del globo solo grazie al passaparola. Tutto era iniziato il giorno in cui sua moglie aveva portato una stampa casalinga a un’amica ricoverata all’ospedale… «Elda, tieni sta roba: come sai, l’Egidio ogni tanto scribacchia. Non mi sembra male e magari ti aiuterà a passare il tempo più velocemente».
Da quella copia ne erano state fatte centinaia, migliaia e infine milioni. Così successe pure le altre volte: il manoscritto iniziale si era moltiplicato esponenzialmente, raggiungendo anche le latitudini più periferiche. Tutti parlavano di lui, Egidio Sepe, di professione rigattiere, sposo devoto di una tintora e padre di tre ragazzi. Mani nodose, faccia di cuoio, sorriso bonario.
Nessun giornalista era mai riuscito a intervistarlo. Io ero il primo e mi tremavano le vene e i polsi. Ormai in pensione, si era sistemato insieme alla famiglia in una modesta villetta a schiera ai margini della cittadina di provincia dove aveva sempre vissuto. Divideva le sue giornate tra la bocciofila e il bar di quartiere, dove giocava a scopone scientifico e scolava qualche bianchino con gli amici. Ogni notte si sedeva davanti alla macchina da scrivere. E iniziava la magia.
Mi aveva accolto la moglie con un bel sorriso e la richiesta di togliermi le scarpe prima di varcare l’uscio per non infangare il soggiorno. Ormai scalzo, fui accompagnato in cucina, dove Egidio stava sbucciando un manipolo di castagne appena levate dal fuoco.
– Ti piacciono i marroni, giovanotto?
– Sì, moltissimo. Ma non vorrei disturbare, signor…
– Che sono questi convenevoli? Stiamo per mangiare insieme: direi che possiamo darci del tu, che dici?
– Sarebbe un onore…
– Ma quale onore, dai, setes giò che stappo anche una boccia di Barbera.
E così iniziammo a bere e sgranocchiare, parlando di tutto fuorché di letteratura. Dopo tre quarti d’ora, grazie anche al discreto quantitativo di alcol ristagnante nelle mie vene, cercai di iniziare l’intervista.
– Ecco. Cosa ne dici di parlare un po’ dei tuoi libri?
– Che noia! Ma se ci tieni…
– La prima domanda che vorrei porti è quella più scottante: perché hai sempre rifiutato di firmare contratti con le case editrici, nonostante proposte economiche da capogiro?
– Perché io ho sempre scritto per il piacere di farlo, non per pubblicare.
– Sì, ma avresti potuto guadagnare molto denaro…
– Anche se fossi partito per l’Alaska e avessi trovato una miniera d’oro sarei diventato ricco, ma io volevo stare qui, nella mia città, a fare il mio lavoro.
– Ma i soldi arriverebbero senza sforzo… tanto scrivi comunque.
– Senza sforzo lo dici tu, belè! Avrei dovuto incontrare tanti signori con il vestito da intellettuale e l’anima da venditore. Avrei dovuto correggere le bozze, approvare le ciano, andare in tv a promuovere i miei scritti. Insomma, avrei dovuto abbandonare le mie abitudini.
– Ti sembrano cose così terribili?
– Sì! Lo ripeto: per me scrivere è un passatempo! Se diventasse un lavoro perderei qualunque entusiasmo. È come se qualcuno, di punto in bianco, mi dicesse che bocce usare, che frasi dire prima di tirare, come vestirmi per andare alla bocciofila e così via.
– Però avresti potuto restare anonimo o proporre un contratto...
– Già la parola contratto mi fa venire i brividi. Non mi stancherò mai di ribadire che a me non interessa nemmeno la fama: io voglio solo starmene tranquillo.
– E non le, scusa, non ti importa nemmeno del Nobel? So che un gruppo di intellettuali sta portando avanti la tua candidatura e, in tutta sincerità, credo vinceresti a mani basse…
– Il problema è che io il 10 dicembre sono sempre impegnato. C’è un mio amico che coltiva un piccolo orto e, da quando sono in pensione, prima di Natale lo aiuto sempre a sistemare il capanno in vista della semina.
– Mi sta prendendo in giro?
– Non eravamo passati al tu? Comunque, no. Sono molto serio. Per me l’amicizia è una cosa molto seria (anche il capanno da sistemare).
– D’accordo, ma per una volta…
– No. Metti nell’articolo che stai scrivendo queste riflessioni: a volte mia moglie guarda un programma in tv in cui ci sono dei ragazzi che fanno una specie di gara di canto (non mi chiedere il nome!). Ecco, loro nelle interviste dicono che la musica è la loro vita e piangono disperati se vengono eliminati… ma, io penso, il fatto di non stare più sotto i riflettori impedisce forse loro di cantare? Basta avere la voce e la passione, no? Non serve essere famosi per intonare Quel mazzolin di fiori…
– Però l’esibizione è importante per un artista.
– Non per me. Cosa me ne faccio della notorietà? Non si mangia e nemmeno cura gli acciacchi, a quanto ne so. Tu cosa vuoi diventare?
– Be’… un giornalista affermato, penso.
– Non so se questa intervista ti farà propriamente decollare... Te lo auguro. Se avessero posto la stessa domanda a me da piccolo, avrei urlato senza esitazioni: il robivecchi. La fortuna mi ha accontentato. Per quarant’anni. Io, per riassumere, non faccio (e mai farò) lo scrittore, al limite sono uno scrittore. Perlomeno così dicono…
– Penso che uscirò da qui con le idee più confuse di prima.
– Non potevi farmi un complimento migliore, sai? E adesso piantiamola di parlare di me. Ti va di andare dal prestinaio? Non so a te, ma mi è venuta una gran voglia di pizza coi funghi…
Tutt’a un tratto mi accorsi che, in effetti, l’intervista era passata in secondo piano: avevo solo voglia di accompagnare il signor Egidio dal panettiere per condividere una bella fettona di pizza. Tra un morso e l’altro avremmo parlato di vita e, forse, di poesia (che, in un mondo ideale, sarebbero la stessa cosa).

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