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Tra la Costituzione e un “reality show”

Sergio Mattarella

Sergio Mattarella

L’epilogo della vicenda Presidente della Repubblica, che ha visto nella scorsa settimana gli italiani coinvolti in una sorta di reality show, con confessionali stile Grande Fratello che si susseguivano nel corso delle varie dirette no stop, lascia il campo, a mio avviso, a due riflessioni principali: la prima di forma, la seconda molto più di sostanza. La Costituzione, quella preziosa carta che dal 1948 tutti evocano, a proprio piacimento, per giustificare orientamenti e consolidare opinioni, ancora una volta viene rispettata in teoria ma molto meno nella pratica. Quando i padri costituenti misero nero su bianco quello che doveva essere il profilo istituzionale del capo dello Stato (si veniva dalla fine dell’epoca monarchica) impostarono un meccanismo che guardava si alla stabilità del ruolo ed alla solennità del meccanismo di elezione, non a caso delegato ai due rami del parlamento e non all’elezione diretta, ma, nello stabilire quanto il Presidente dovesse restare in carica, diedero un segnale ben preciso. Sette anni, proprio perché i cittadini dovevano poter votare questo o quel partito, in occasione delle elezioni politiche e chi si faceva votare non doveva introdurre nel pacchetto di proposte potenziali aspiranti alla carica presidenziale, in quanto il mandato presidenziale ben più lungo di quello parlamentare. Ed è vero poi che la Costituzione non contiene un divieto esplicito al secondo mandato ma è pure vero che la durata, di ben sette anni, non faceva nemmeno ipotizzare, a chi scriveva le regole, che qualcuno potesse aspirare al raddoppio. Ora, con tutto il rispetto per il Presidente Mattarella, per trovare casi di capi di Stato in carica quattordici anni senza scomodare le poche monarchie rimaste in piedi, forse bisogna cercare in Sudamerica o giù di li. La comunità internazionale plaude a Mattarella e all’uscita dall’impasse ma di certo la nostra credibilità, ancora una volta, ne esce malconcia. La seconda riflessione invece, guarda più alla sostanza politica. Non si può infatti non pensare che lo spettacolo andato in scena non è stato dei più edificanti. Nomi di altissimo prestigio bruciati con un tweet, voci che si accavallano a voci, litigate in diretta tv, candidati dati per certi bruciati in pochi minuti. Il centro destra che parte con la possibilità storica quanto meno di orientare i giochi, che si muove con la paura di un bimbo alle prese con i primi passi: si tocca palla, poi si torna in difesa, poi si sceglie la tribuna per poi accontentarsi di lasciare le cose come stanno. Vero che l’epoca degli eroi si è conclusa da un bel po’ ma francamente ci si aspettava qualcosa di più. E non credo che neanche a sinistra ci sia qualcuno che possa gioire, perché frammentazione, spintoni, tradimenti consumati anche alla luce del sole, se ne contano eccome, anche da quel lato. Tutti a mio parere sottovalutano però un fondamentale aspetto, troppo presi dalle trattative di palazzo e dalla preoccupazione di non uscire dai giochi con l’etichetta degli sconfitti. La gente aveva bisogno di un po’ di aria nuova. Mattarella ok, ma perché i cittadini italiani non possono avere diritto ad un nuovo Presidente? Nella vita di ognuno di noi la speranza di un qualcosa di diverso, di un futuro migliore, di un cambiamento, resta comunque e sempre alla base del vivere. Una nuova immagine, una nuova voce, forse in questo momento serviva. Si continua a sottovalutare poi, che un sistema che consolida se stesso, senza rinnovarsi, non fa che favorire l’antisistema. Vero che l’onda piena M5S sembra essersi ritirata o quasi, ma siamo certi che dietro non ci sia qualcos’altro? Staremo a vedere. Mimmo Lardiello
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