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Povertà educative, il nodo è la famiglia

Rissa fra giovani

Rissa fra giovani

Gentile direttore, propongo il mio contributo sull’interessante dibattito avviato. Ho letto con attenzione le voci intervenute nel dibattito sulle povertà educative. Preziose, in special modo il contributo del prof. Pagano. Due ragazzine che se le danno di santa ragione sono, come è evidente, il sintomo. La malattia è altrove ed è ben più grave. Il vero problema è la famiglia. Tema toccato dal direttore che, a mio avviso va scandagliato premurosamente. Ci sono, per separare quel che non è difficilmente separabile, due tipi di famiglia: quelle “normali” e quelle in totale disfacimento. Il torto di molte famiglie è quello di essere “distratti” circa lo sviluppo psicofisico dei figli. Nella mia esperienza di giudice minorile onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Taranto, ho incontrato spesso genitori che candidamente affermavano: non gli ho fatto mancare nulla, mangia quello che vuole e indossa i vestiti preferiti. Eppure nulla lo ha sottratto alla devianza, ai guai con la giustizia. C’è un ambito sconosciuto della vita dei figli: la dimensione psico-emotiva. È pur vero che non c’è una patente per svolgere il ruolo di genitore. Nessuno lo ha mai insegnato.Dovremmo chiedere ai genitori equilibrio, maturità, consapevolezza. Invece ci si sposa su basi emotive o di mero interesse che non sempre garantiscono continuità nel legame matrimoniale. Anche qui genitori accorti darebbero consigli di discernimento. Ecco perché assistiamo sempre più spesso a prematuri fallimenti matrimoniali e talvolta alla eliminazione del coniuge più debole economicamente oltre che fisicamente. Ho incontrato raramente genitori con capacità educative nella sfera dei sentimenti, nel riconoscerli, nel non farsi tiranneggiare. L’altro genere di famiglia è il più drammatico problema. Dove la famiglia non c’è a chi affidiamo la funzione educativa? La scuola è l’agenzia educativa chiamata a indirizzare al sociale, alla maturità. Purtroppo siamo orfani di una siffatta scuola. Non è questa la sede per parlarne. Che cosa fa la società, cioè noi; cosa fa lo Stato, cioè noi? Offriamo costantemente modelli di sopraffazione, di corruzione, di scurrilità, di trasgressione. La politica è in disfacimento, la Chiesa ha smesso di essere educativa, la giustizia è bacata dalla corruzione, il bene comune è dissolto, la maggioranza trova il modo di non pagare le tasse. Gli Stati non dialogano preferiscono il confronto delle armi. Insomma suggeriamo un mondo in cui devi difenderti dalla prepotenza, devi rispondere alla violenza con la violenza per non soccombere, un mondo di individualismi. Se questi presupposti non vengono modificati dobbiamo aspettarci questo e, purtroppo, altro. Giovanni Matichecchia
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