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Taranto
31 Maggio 2025 - 18:40
L'atmosfera del salone del Castello Aragonese è intrisa di storia, di sapori antichi come quello del buon pane fatto in casa o quello dell'Arma "fedelissima", del popolo e in mezzo al popolo, di cui da secoli è fedele difensore. Appunto "Nei secoli fedele", come recita il motto dei Carabinieri, le cui divise storiche (una dozzina) sono esposte al Castello Aragonese fino all'8 giugno, giorno della loro festa, nel 211° anno di fondazione dell'Arma, che sarà celebrata in piazza Garibaldi alle ore 19.
Questa interessante e commovente mostra è stata resa possibile grazie alla disponibilità di Paolo Antonio Caradonna Moscatelli, titolare della stupenda collezione (ben 110 esemplari, raccolti anche all'estero), attualmente custodita nella sala espositiva dell'11° Reggimento Carabinieri Puglia, a Bari, e che consentono queste rassegne itineranti per tutt'Italia. La suggestione è tale che nel silenzio del Castello sembra di sentire in lontananza, provenienti da chissà dove, le note della loro marcia d'ordinanza, "La Fedelissima", talmente popolare che la suonano anche nelle processioni.
"Resa possibile grazie agli ammiragli Montanaro e Ricci che hanno messo a disposizione questa prestigiosa sede, la mostra racconta uno scorcio della nostra storia che va dalla fine del 1800 agli anni settanta – ha riferito stamane il colonnello Antonio Marinucci, comandante provinciale dell'Arma, durante l'inaugurazione - Attraverso queste uniformi si vuol sottolineare ciò che è l'Arma dei carabinieri, nella sua massima espressione di vicinanza e prossimità al cittadino ai fini preventivi".
La mostra parte dall'esposizione di una uniforme risalente fine 1800, con i galloni ricamati e la famosa "lucerna", il caratteristico copricapo diventato il simbolo dell'Arma in tutto il mondo. Quindi, si ammira la divisa degli inizi 1900 riportante sul braccio i simboli distintivi delle ferite riportate in servizio (probabilmente per la partecipazione a qualche campagna d'armi) e sul capo il kepì con la "fiamma" riportanti le lettere "VE", indicanti le iniziali del nome del Re, Vittorio Emanuele. Quindi le uniformi con i gradi sulla manica, come si usava fino alla prima guerra mondiale e che solo dopo furono portati sulle spalline; nel periodo fascista, i gradi ritornarono sulla manica. Dopo l'Armistizio del 1943, per uniformarsi a tutte le forze armate alleate entrate in Italia, i gradi vennero riportati sulle spalline, così come accade ai giorni nostri. Molto interessante è l'uniforme da battaglia, col kepì (adesso in uso solo nelle scuole militari), berretto tradizione asburgica, utilizzato dalle truppe franco-algerine nelle battaglie in Algeria, particolarmente indicato contro le alte temperature. In tempo di guerra si passò quindi dall'uniforme azzurra a quella grigio-verde per una più adeguata mimetizzazione, consentendo così di sfuggire alle fucilate dei cecchini. Da ammirare anche la tenuta da palazzo dei corazzieri, deputati alla difesa dapprima del Re e poi del Presidente della Repubblica. Nella seconda guerra mondiale cambiò la foggia della divisa grigio-verde, questa volta con giacca e cravatta, il cappello nella tipica forma della lucerna e l'elmetto, portato al seguito assieme al contenitore delle munizioni, con la pistola modello 34 nella fondina.
In evidenza anche i riferimenti alle truppe coloniali, che operavano in Africa con l'elmetto da guerra e uniforme da "meharista", termine derivante dalla regione africana dove vengono allevati i cammelli di alto pregio, caratterizzati dal galoppo veloce, su cui montavano i carabinieri. Tale uniforme venne indossata anche dopo la seconda guerra mondiale dalle truppe dell'Arma, designate dalle Nazioni Unite a pattugliare in Somalia, dopo l'eccidio dei nostri militari. Quindi, la sahariana, in uso fino al 1978, con le ghette utilizzate per mantenere i piedi al caldo ed evitare all'acqua di entrare nelle scarpe, particolarmente spesse per evitare i tagli causati dal filo spinato e dagli arbusti; caratteristica era la bandoliera, termine derivante da bombarda, in quanto i carabinieri facevano servizio con i fucili ad avancarica, con proiettili a miccia custoditi nelle giberna. Va anche ammirata l'uniforme del capitano Raimondo D'Inzeo, campione olimpico di equitazione negli anni 60. Quindi, la divisa da parata del radiomobilista degli anni sessanta (indossata da Alberto Sordi in un famoso film di quel periodo) con giubbotto in pelle, cravatta, camicia, paraguanti bianchi, stivali spessi per difendersi dal freddo.
Infine una promessa: "Più in là – ha detto il comandante Marinucci - vorrei portare a Taranto, se il dott. Moscatelli Caradonna me ne darà la disponibilità, anche l'uniforme del comandante Carlo Alberto Dalla Chiesa, quando faceva servizio in Sicilia, ucciso dalla mafia, assieme alla moglie, il 3 settembre del 1982".
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