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SPECIALE FESTIVITà

Un viaggio a Taranto tra sapori antichi, tradizioni familiari e riti che resistono

La città custodisce un patrimonio gastronomico natalizio unico in Puglia. Storia, fede, memoria e profumi di casa

Speciale Festività

Il calore delle cucine tarantine prende vita tra impasti, miele e gesti tramandati: la magia delle feste che nasce nei vicoli della Città Vecchia

E' impossibile raccontare il Natale tarantino senza seguire la scia del profumo che invade i vicoli della Città Vecchia all’alba del 22 novembre, quando le pastorali dedicate a Santa Cecilia inaugurano quello che viene ormai riconosciuto come il Natale più lungo d’Italia. È l’istante in cui la città cambia ritmo, quando il suono delle bande si mescola all’aroma dell’olio bollente in cui friggono le pettole, il primo gesto gastronomico di un periodo festivo che a Taranto non dura settimane, ma quasi due mesi. Da qui parte un viaggio nella memoria collettiva, un cammino fatto di impasti, miele, vino cotto e antichi gesti ripetuti da generazioni.

Le cucine tarantine a novembre diventano laboratori artigianali, dove le famiglie si dividono ruoli e compiti, secondo rituali che ognuno considera immutabili e sacri. Ogni dolce ha una sua storia, ogni forma una simbologia precisa, ogni ingrediente un significato che parla della terra, della fede e delle abitudini popolari.

Il Natale tarantino non è mai solo un insieme di ricette: è un patrimonio di emozioni, di racconti tramandati sottovoce, di mani che insegnano a mani più giovani a ripetere gli stessi movimenti di cento anni fa.

Pettole: l’inizio di tutto

Il primo sapore delle feste, quello che apre ufficialmente la stagione, sono le pettole, piccole nuvole di pasta lievitata che prendono forma con un gesto preciso, fatto con due dita o con un cucchiaio bagnato nell’acqua (ce ne occupiamo diffusamente in altro articolo di questo speciale).

Dolci, semplici e spolverate di zucchero, oppure salate, arricchite con acciughe, capperi o olive, le pettole sono il primo rito condiviso nelle case. Ogni famiglia ha la propria versione, il proprio segreto, la propria consistenza ideale. Il loro profumo, che si diffonde già alle prime luci dell’alba del 22 novembre, segna un confine: da qui in poi la città entra ufficialmente nel tempo della festa.

Carteddàte: ricamo di pasta e miele

Tra i dolci più iconici della tradizione pugliese, le carteddàte occupano un posto speciale nella storia gastronomica di Taranto. Il nome richiama l’idea di “piccole cartelle”, sottili sfoglie lavorate con cura, arrotolate come rose o come spirali, poi fritte e immerse nel miele o nel vincotto.

Sono una festa per gli occhi: dorate, lucide, decorate con confettini colorati, rappresentano la gioia semplice del Natale popolare. In molte famiglie la preparazione delle carteddàte è un rito collettivo che dura ore, con le donne sedute attorno ai tavoli a stendere, pizzicare, modellare.

CARTEDDA'TE TARANTINE: LA RICETTA TRADIZIONALE

Ingredienti per l’impasto: 500 grammi di farina 0, 100 grammi di olio extravergine di oliva caldo, 100 grammi di vino bianco tiepido, 1 cucchiaio di zucchero, un pizzico di sale.

Ingredienti per la guarnizione: miele o vincotto di fichi o di uva, confettini colorati.

Preparazione: si impasta la farina con l’olio caldo versato a filo, poi si aggiunge il vino tiepido, lo zucchero e il sale. Si lavora fino a ottenere una pasta liscia ed elastica. Dopo il riposo, si stende una sfoglia sottile e si ricavano strisce larghe circa 3 centimetri, che si pizzicano e arrotolano a forma di rosa. Si friggono in olio profondo finché diventano dorate, poi si immergono nel miele caldo o nel vincotto e si completano con una pioggia di confettini.

Sannacchiudere e porceddhruzzi: i piccoli tesori dorati

A Taranto, insieme alle carteddàte, compaiono sempre i sannacchiudere (o scarcelle piccole), dolcetti che prendono il nome da un verbo dialettale che significa “chiudere con forza”, a indicare la loro forma compatta.

Ancora più diffusi sono i porceddhruzzi, minuscole palline di pasta aromatizzata agli agrumi, fritte e poi mescolate con miele caldo, cannella e mandorle. Il loro nome rimanda a una storia antichissima: piccoli porcellini simbolici che rappresentavano prosperità e abbondanza.

Sono dolci poveri, nati dall’essenzialità delle dispense popolari, ma capaci di evocare emozioni profonde. Molti tarantini raccontano che il Natale non comincia davvero finché non compaiono i primi porceddhruzzi nei grandi piatti da portata del soggiorno.

Mustazzueli: memoria in un morso

Taranto conserva anche una tradizione legata ai mustazzueli, dolci scuri a base di farina, miele o vino cotto, con note di cannella e chiodi di garofano. Sono biscotti antichi, duri e speziati, spesso a forma romboidale, che venivano preparati per durare a lungo e servire come scorta nelle settimane più fredde.

Il loro sapore deciso racconta un’epoca in cui il dolce non era un piacere quotidiano, ma un lusso raro, da assaporare lentamente. Oggi restano un ponte con il passato, un ricordo che torna puntuale nelle famiglie che mantengono viva la tradizione.

La cupeta e il torrone: la festa delle mandorle

La cupeta, torrone croccante di mandorle e zucchero caramellato, è un classico delle feste pugliesi. A Taranto veniva venduta un tempo nelle fiere e nelle strade principali del centro, avvolta in grandi fogli di carta oleata. Il suo profumo di mandorle tostate è un tratto caratteristico delle giornate che precedono il Natale.

In molte famiglie viene ancora preparata in casa, con un gesto antico: mescolare zucchero e mandorle calde finché non si uniscono in un’unica massa lucida e profumata.

Dolci, devozione e identità: perché Taranto vive il Natale come nessun’altra città

Taranto non si limita a custodire ricette: custodisce storie. Ogni dolce è un simbolo. Le pettole che segnano l’inizio del tempo festivo, le carteddàte che richiamano la fede popolare, i porceddhruzzi che raccontano l’idea dell’abbondanza, i mustazzueli che parlano di resistenza e memoria.

Il Natale tarantino non è fatto solo di luci e mercatini: è un mosaico di piccoli gesti, di riti familiari, di notti in cui la città sembra sospesa tra passato e presente. Le cucine che si accendono prima dell’alba di Santa Cecilia, i tavoli su cui si accumulano le prime carteddàte, le mani che insegnano alle nuove generazioni come pizzicare la sfoglia senza romperla: sono immagini che definiscono un’identità.

E mentre la città si prepara alle feste, è proprio nei suoi dolci che si ritrova l’essenza più autentica del Natale.

Un Natale che dura a lungo, che inizia presto, che parla al cuore di chi lo vive come un’eredità preziosa. Un Natale che profuma di miele, di olio e di storia.

Un Natale che, a Taranto, è prima di tutto una questione d’anima.

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