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Nel tinello del Conclave, la fede tra sacro e quotidiano
03 Ottobre 2025 - 09:01
Ci sono libri che arrivano senza rumore, ma che, una volta sfogliati, sanno imporsi con forza. Nel tinello del Conclave, la più recente raccolta di Antonio Rotondo (pubblicata da Vitale Edizioni nel 2025), appartiene senza dubbio a questa categoria.
L’idea del titolo incuriosisce perché l’autore accosta due immagini in netta opposizione. Il tinello è lo spazio domestico in cui ogni giorno si svolge la vita, mentre il conclave è un luogo solenne, riservato ai porporati, nel quale gli “uomini sono fuori”. I suoi versi si muovono proprio in questo dualismo: da un lato c’è la vita di tutti i giorni e dall’altro la fede.
Rotondo, nei suoi testi, non è mai consolatorio e non cerca di rassicurare, rifuggendo da formule già note o da versi convenzionali. È una poesia che, come scrive Maurizio Evangelista nella prefazione, “non cerca la luce, ma continua a guardare nel buio, ostinatamente”. Le immagini religiose vengono spogliate del loro significato retorico e formale per trasformarsi in vere e proprie domande. In Mitra e rosario leggiamo: “una mitra vuota resta / un rosario senza labbra prega”. È un modo diretto per dire che la fede non sempre ha voce, e che la religione rischia di restare vuota se non è abitata da un cuore vivo.
Senza cadere nell’agiografia, il percorso della raccolta attraversa simboli e momenti fondamentali della vita della Chiesa. Immagini come la morte di un pontefice, i novendali e la scelta di un successore, diventano occasioni per parlare dell’attesa, del tempo sospeso e della comunità che cerca risposte. In Morte di un papa, ad esempio, “la voce tace, ma la fede resta / tra i vetri accesi e il pianto dei fedeli”. È la fotografia di una comunità che, pur nel dolore, continua ostinatamente a cercare un senso.
Nei confronti delle strutture ecclesiastiche l’autore rivolge uno sguardo critico, a tratti severo. In Congregazioni aritmiche la fede appare deformata e svuotata dal rituale: “si siedono in fila, ma fuori battuta / con mani composte e cuori divisi”. Rotondo, in questi versi, dimostra il suo coraggio. Non c’è sarcasmo, ma l’onestà di chi non chiude gli occhi di fronte all’ambiguità di certi gesti.
La raccolta, tuttavia, non si limita a denunciare. C’è una costante tensione verso una fede che non rinuncia alla fragilità. In La stanza delle lacrime, il poeta scrive che “un uomo entra / esce un pastore”. È il racconto della distanza tra l’uomo che accetta il peso del ministero e la grandezza del compito che gli viene affidato.
Il punto centrale della poesia di Rotondo è proprio questo: la convinzione che la vera spiritualità si trovi nella fragilità, nelle domande e nel dubbio, non nelle certezze. Il suo obiettivo non è criticare o distruggere la cerimonia religiosa, ma guardarla senza filtri e chiedersi cosa rimanga quando quel gesto viene compiuto senza un autentico sentimento.
La scrittura ha un ritmo che ricorda quello della musica, perché Rotondo è anche musicista. Utilizza versi brevi e misurati, attraverso i quali dà voce a pensieri chiari, diretti e privi di elementi superflui. Ogni testo è una variazione sul tema della perdita e del mistero, come se la poesia fosse l’unico modo per non farsi travolgere dal silenzio.
Ciò che colpisce del libro è la sua capacità di parlare a tutti, sia a chi crede sia a chi non crede. Perché dietro le immagini religiose si intravede sempre e soprattutto l’uomo, con le sue paure, i suoi errori e le sue speranze. In Vespri per colpevoli innocenti non c’è giudizio, ma pietà: “un canto lieve si alza dai banchi / non giudica, non pesa, non punisce / carezza il tempo, consola gli stanchi”. È un invito a guardare le debolezze senza condanna, trovando nella compassione la forma più alta e autentica della fede.
Quando si arriva alla fine del volume, si ha la sensazione di aver superato una soglia. Non quella che porta a una verità assoluta, ma quella che mette in contatto con il dubbio e con le domande essenziali. L’autore invita il lettore a fermarsi ad ascoltare il silenzio, ad abitare quell’attesa che sta tra una parola e l’altra, tra un rito e il suo vero significato.
Nel tinello del Conclave è un libro che invita a cercare e che ricorda a tutti – credenti e non – che il sacro non è un possesso, ma un cammino fragile e condiviso.
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Testata: Buonasera
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