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IL COMMERCIALISTA
10 Dicembre 2025 - 20:08
Recensioni online: tra valutazioni autentiche e giudizi manipolati che influenzano acquisti e reputazioni digitali
La sollecitazione commerciale attraverso i social network è la nuova frontiera del settore pubblicitario. In assenza di un contatto diretto nella vendita, mediato a distanza appunto dai social network, la web reputation è il vero capitale immateriale delle imprese moderne ed è proprio in questo settore che si concentrano pratiche sleali e spesso difficili da arginare.
La più recente delle misure per contrastare fenomeni diffamatori o lesivi della reputazione di altre imprese è stata introdotta da una ordinanza del Tribunale di Roma.
Secondo i giudici criticare un concorrente è lecito ma utilizzare recensioni false o contenuti video manipolati per screditarlo costituisce una forma di concorrenza sleale, oltre ad avere profili diffamatori
La regola generale che emerge dalle aule di giustizia è chiara: il diritto di critica non può trasformarsi in uno strumento di denigrazione sistematica, specialmente quando a manovrare la tastiera non è un cliente insoddisfatto, ma un’impresa rivale che mira a distruggere la reputazione altrui per guadagnare quote di mercato. Così quando un imprenditore attacca un rivale sui canali social o su piattaforme di recensione, non si comporta ovviamente come un utente qualsiasi ma viola un principio di concorrenza e pertanto il suo comportamento è assai più grave.
Lo scontro, sul quale il Tribunale di Roma si è espresso, è nato tra la società Reparadora Italia, nota con il marchio GoBravo, e la società veneta Difesa Debitori. Entrambe operano nel settore delicato della gestione del debito dei consumatori.
La società spagnola ha portato in tribunale il concorrente accusando di aver programmato una campagna diffamatoria con oltre 221 recensioni negative. Secondo la tesi di GoBravo, su 221 recensioni negative solo 9 erano clienti della società e solo 17 erano riconducibili a persone fisiche esistenti. Il resto era sostanzialmente inventato, almeno stando alla ricostruzione della impresa che chiedeva giustizia.
La questione si è risolta con un accordo transattivo tra le parti ma il contenzioso non si è esaurito solo sul piano delle recensioni. Il Tribunale di Roma è stato chiamato anche a decidere nel merito dell’uso di video-messaggi o contenuti multimediali diffusi sui social. I giudici hanno analizzato la condotta del convenuto, il quale aveva diffuso video contenenti registrazioni di telefonate effettuate presentandosi come potenziale cliente della società rivale. Il punto nodale non è la telefonata in sé, ma il modo in cui è stata rielaborata. Attraverso un sapiente lavoro di montaggio, alle parole degli operatori erano stati affiancati spezzoni di film e parole chiave inserite ad arte.
Questa tecnica, definita suggestiva dal Tribunale, aveva lo scopo di suggerire esplicitamente allo spettatore l’idea di un’attività gravemente superficiale o addirittura truffaldina da parte della società concorrente. Secondo i magistrati, tale operazione “va certamente oltre i limiti di continenza” e integra una condotta idonea a generare discredito. Non si tratta di dare un’informazione utile al cliente, ma di manipolare la percezione della realtà per danneggiare l’avversario. L’inserimento di clip cinematografiche decontestualizzate serve a creare un’associazione mentale negativa, aggirando la necessità di fornire prove concrete delle accuse lanciate.
La pronuncia del Tribunale di Roma segnala quindi una grave pericolosità delle fake reviews. Le piattaforme di recensione sono nate per aiutare i consumatori nelle proprie scelte e distorcerne l’uso attraverso false recensioni conforma una distorsione del mercato. La qualificazione di queste condotte come concorrenza sleale apre la strada a richieste di risarcimento danni significative. Chi orchestra queste campagne deve sapere che l’anonimato del web è spesso solo apparente e che la responsabilità civile per il danno arrecato all’immagine altrui è piena. Inoltre quando queste procedure sono “orchestrate” da imprenditori e non da haters o cittadini qualsiasi, la questione è ancora più grave. Il singolo utente che sfoga la sua rabbia online, pur potendo incorrere nel reato di diffamazione, agisce solitamente per motivi personali e senza un fine di lucro diretto.
L’imprenditore che attacca il concorrente, invece, agisce per un interesse economico: sottrarre clientela al rivale. Per questo motivo, le regole di ingaggio sono diverse. La correttezza professionale (articolo 2598 del Codice Civile) impone agli operatori economici doveri di lealtà che non gravano sul comune cittadino. La legge italiana tratta la diffamazione online in modo specifico e severo. In particolare, l’articolo 595 del Codice Penale punisce la diffamazione, aggravandola se avviene tramite mezzi di comunicazione di massa, come appunto i social media. Questo significa che diffamare una persona online può portare a sanzioni più elevate rispetto alla diffamazione classica. Le pene previste per la diffamazione sui social media possono includere: multa fino a 1.032 euro per diffamazione semplice. Reclusione da sei mesi a tre anni se la diffamazione è aggravata (es. quando avviene online). Oltre alle sanzioni penali, il diffamato può richiedere anche un risarcimento danni in sede civile. I risarcimenti possono essere molto elevati, specialmente quando il danno d’immagine comporta una perdita economica.
*Dottore Commercialista - Revisore Legale
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