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LA RECENSIONE

La poesia di Jorie Graham avverte: solo la memoria può salvare il mondo

Il volume viene accostato per tensione narrativa al romanzo apocalittico di Guido Morselli, ma se ne distingue per la funzione salvifica. Per l’autrice la poesia ha il potere taumaturgico di recuperare la corretta accezione del passato, il grande sconfitto della contemporaneità ossessionata dal presente

La poetessa statunitense, Jorie Graham,

La poetessa statunitense, Jorie Graham,

Vivere non è la stessa cosa di sopravvivere. Il concetto dovrebbe essere scontato, e comunque avallato dal buonsenso. Eppure pare necessario, all’autrice di “2040”, ultimo, cospicuo volume di poesia, precisare, puntualizzare minuziosamente in un percorso articolato, la netta distanza del sopravvivere, che appare sempre più come la condizione prioritaria che l’umanità tutta sta attraversando, dal vivere, che dovrebbe qualificare la “missione” dell’uomo sulla terra. Il numero indicato dal titolo è chiaro e si riferisce alla data prefissata nell’Accordo di Parigi dagli stati aderenti per contenere l’aumento della temperatura media globale nonché l’emissione dei gas serra. Ma da quell’accordo si è già sfilato lo Stato che ha dato i natali all’autrice di questa raccolta: Jorie Graham, una delle voci più note e apprezzate della poesia contemporanea.

Ci sono molte piste per cercare di entrare, accostarsi e poi uscirne con un bagaglio concettuale, quindi critico, dalla poesia di Jorie Graham. Vi è quello lessicale, quello metrico, che precedono ancora prima di accompagnare quello contenutistico. Poi vi sono strumenti puramente individuali che la Graham sfida nel lettore per mettere alla prova la sua capacità di resistere alla carica all’irruenza della scrittura, alla metafora totalizzante del futuro, che è une prospettiva quasi fantascientifica. Pur essendo così piena di realtà.

Questo sua ultima, importante raccolta, “2040”, pubblicata in Italia da Crocetti, con la traduzione (cui ha collaborato la stessa autrice, grazie alla conoscenza della nostra lingue, essendo vissuta in Italia) e cura di Antonella Francini disegna infatti un mondo apocalittico, che per associazione ci porta immediatamente a “Dissipatio H.G.” di Guido Morselli, che si dipana tra romanzo e memoriale futuro, come memoriale futuro è questo fiume di versi tra allegoria e postcontemporaneità. Ci ricorda la stessa tensione della scrittura del nostro genio incompreso, pur trattandosi di generi diversi, che percorre tutta la narrazione. In entrambi i casi complessa e multisensoriale.

Nel romanzo apocalittico del negletto scrittore italiano, a raccontare e porre interrogativi è l’unico sopravvissuto nella scomparsa del genere umano.

Sulla scia delle catastrofi, lontane come prossime, da Pompei a Hiroshima, fino all’Apocalisse prossima ventura, Morselli non riesce ad assolvere il genere umano dalla propria tendenza all’autodistruzione, accusandolo di aver ceduto a una follia collettiva, a un “comando” a cui avrebbe potuto disubbidire. Ebbene, Jorie Graham riscrivere la storia di questa dispersione, recuperando il ruolo della memoria a fine salvifico. “A volte è sconcertante ritrovarsi – afferma l’autrice in una recente intervista a “La Lettura” - a credere che la poesia possa fare la differenza. L’unica cosa di cui sono certa è la seguente: leggere poesia, viverla attraverso una lettura profonda e attenta, è salvifico per il corpo e l’anima”.

Ma questo comporta una responsabilità enorme per il poeta, che deve sforzarsi di dare al proprio lavoro un progetto ad ampio spettro, che sia pace di trasferire la complessità dell’oggi, fatta di comprensione e cura della velocità della tecnologia (che poi corrisponde anche a quella con la quale si mette a rischio il futuro della Terra), e di trascrizione coinvolgente che le dia potere taumaturgico. È certamente quello che l’autrice stessa fa in un libro molto complesso e che va letto come un manuale di iniziazione a una nuova disciplina multiforme che impone alla memoria di unire tutta la cultura umana e filosofica per metterla a disposizione della comprensione del mondo attorno a sé.

“Potremmo dire – scrive nel testo introduttivo Antonella Francini – che l’opera di Jorie Graham insegue un’utopia, il sogno di  un modello di civiltà ideale da contrapporre ai fallimenti permanenti dell’umanità, che la sua scrittura non volge mai la nostra storia presente e futura in una visione distopica. Come Wallace Stevens ci ha insegnato, altro autore presente nel pantheon poetico di Graham, la poesia è quell’angelo necessario e il poeta è quel nobile cavaliere che ci aiutano a resistere con la forza della parola e dell’immaginazione alle spinte antiumane che emergono nei momenti più bui”.

Il viaggio, a tratto allucinante, complesso e coinvolgente, compiuto nei tre lunghi capitoli, tre veri e propri poemi, la pioggia salvifica, arriva, come nei “Promessi sposi”, nel capitolo finale: “Poi la pioggia”. “...E riportò la memoria. Ma di / cosa. Salve. Dove siete verbi / miei. Le chiome / sferragliarono ancora, più forte & di nuovo pensammo // il vento... (…) e la terra accolse l’acqua / ovunque, // & quando mi sedetti sul muretto / mi scivolò sul viso / & e il collo trattenne rigagnoli, 7 come fossi un piccolo libro // che veniva scrutato con cura in cerca / di errori, crinali, intervalli di / tempo nel mio pensiero - / perché non riuscivo a ricordarla...”.

Tutto rinasce, quindi, dalla memoria, cioè dalla corretta accezione del passato, il grande sconfitto dalla contemporaneità, tutta protesa ossessivamente al presente.

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