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L'analisi

Taranto non può vivere di sola cassa integrazione

Dal consiglio di fabbrica che ospitò Pertini, riparte un appello per lavoro, investimenti e una strategia nazionale per l’ex Ilva, per evitare la deflagrazione sociale di una città sospesa tra passato industriale e futuro incerto

Rappresentanze Sindacali Unitarie operai Ilva

Operai ex Ilva

TARANTO - "È arrivato il momento di mettersi a disposizione della città". Il sindaco Piero Bitetti per rappresentare l'ansia di precarietà economica e sociale che coinvolge non solo gli operai e le loro famiglia, ma l'intera città, ha scelto la sede di quel consiglio di fabbrica che, agli inizi degli anni 80, ospitò Sandro Pertini, accogliendolo alla mensa degli operai. 

Piero Bitetti allora era un ragazzino di sette anni, quando l’Italsider attraversò gli anni migliori sotto il profilo della produzione industriale, fresca di quel raddoppio dello stabilimento e delle linee del ciclo produttivo. Se nel lungo periodo gli effetti sull'ambiente si sarebbero rivelati devastanti, nell'immediato quelli sull'economia, occupazione e reddito furono assolutamente positivi. Il reddito crebbe a velocità quasi doppia rispetto alla media meridionale e persino nazionale. Il IV° centro siderurgico raggiunse il picco occupazionale con circa 22.000 dipendenti diretti e 10.000 addetti dell'indotto che avrebbero di fatto reso irreversibile, da quel momento in poi, ogni tipo di pacifica convivenza tra fabbrica e città.

E' lui oggi a guidare una Città abitata da ex operai, cassintegrati e giovani senza prospettive: "Siamo andati a Roma più volte a rappresentare timori, ansie, ma anche la sfiducia di una città intera che sta faticando da anni e che si è sacrificata per garantire un settore strategico per il Paese"."Taranto vuole lavoro e non cassa integrazione!"

La sua firma in calce al verbale redatto dal consiglio di fabbrica insieme a quella del presidente della provincia Gianfranco Palmisano e del fu presidente regionale Michele Emiliano, più che una inversione appare come una revisione del pensiero intorno a cui ha costruito la sua maggioranza, le cui stridenti contraddizioni lo hanno ingessato, reso prudente, spesso condizionato. "Ora non c'è più tempo da perdere. Taranto vuole investimenti seri e concreti". Serve  un Tavolo interministeriale che coinvolga oltre allo Sviluppo Economico, anche Lavoro, Sanità, Università e Ricerca e Ambiente. Serve un piano di ripartenza, e lo deve coordinare la Presidente del Consiglio per dimostrare che non ha intenzione di abbandonare la nostra terra. Bitetti è consapevole che la scelta potrebbe determinare una rottura di equilibri precari ma non può correre il rischio di essere capro espiatorio, additato come inadeguato a difendere la sua Città in un cotesto in cui le responsabiità molteplici vengono da lontano.

La situazione dell'Ilva è drammatica dal punto di vista industriale tant'é che gli operatori della siderurgia nazionale e internazionale, la considerino inagibile.

A certificarlo, nell'audizione al Senato, con una indiscussa competenza ed autorevolezza nella siderurgia elettrica è  Antonio Gozzi presidente di Federacciai: "Ciò che resta di quegli impianti  producono 1,6 milioni di tonnellate con costi fissi per 10 milioni. Resta un fortissimo interesse strategico dell'Italia a fare produzione di prodotti piani. Ma "c'è un tema inevitabile di esuberi" perché per produrre sei milioni di tonnellate che rappresentano il minimo indispensabile per pareggiare i costi di conduzione, serviranno meno addetti rispetto ai 10mila che ci sono. Non si può chiedere a chi arriva di farsi carico di quegli esuberi e della bonifica ambientali. E comunque "Chi compra un'azienda i cui impianti sono sotto sequestro da lustri? Chi compra un'azienda in una realtà nella quale gli enti locali devono decidere se vogliono un'azienda strategica per il paese o non la vogliono. Chi si avvicina in una situazione del genere? Bisogna fare uno sforzo di concretezza".  Tutti dovrebbero concentrarsi sulla creazione di queste condizioni"."Abbiamo detto al ministro che per convincere operatori italiani e stranieri ad avvicinarsi all'Ilva bisogna ricostruire condizioni abilitanti che oggi non esistono. Non si può chiedere a dei privati di intervenire su un'azienda i cui impianti sono ripetutamente  sequestrati. Tutti dovrebbero concentrarsi sulla creazione di queste condizioni".

I sistemi produttivi hanno necessità di avere dei riferimenti precisi ai quali attenersi per essere in regola. Ma il cambiamento procede per gradi, sulla base di regole uniformi, che diventano, di volta in volta. uno standard sostenibile e progressivo, a cui attenersi, in un quadro di certezza del diritto. Purtroppo si continua a fare confusione tra ambientalizzazione e decarbonizzazione, sono due cose completamente diverse.

E' questo il punto sul quale fare chiarezza aprendosi alla collaborazione delle Istituzioni ad ogni livello.

A Taranto è mancato il pensiero strategico attento alla economia e alla sicurezza, attento agli equilibri competitivi globali dell’acciaio.

Si rende necessaria un’operazione di sistema che, come tutti i grandi progetti industriali che attengono a interessi strategici nazionali, deve vedere coinvolti plurimi attori, pubblici e privati, sulla base di un progetto di politica industriale condiviso, per avviare un processo di pacificazione della nostra comunità territoriale. Chi deve assumerne l'onere e la guida è lo Stato, una scelta opportuna, doverosa, consapevole che la chiusura comporterebbe la deflagrazione sociale ed economica di una comunità. Chiudere significherebbe condannarla ad essere abitata da ex operai, cassintegrati e giovani senza prospettive.

Diventa una scelta irrinunciabile, anche se transitoria, per ricondurre a un interesse strategico nazionale un conflitto di poteri dello Stato persistente e condizionante. Un disastro economico e sociale di grandi dimensioni provocato da scelte prive di qualunque razionalità. Chi investirebbe in uno stabilimento che deve essere messo a norma sapendo che nel corso del tempo che occorre per farlo, non potendo fermare l’attività, i suoi manager potrebbero essere chiamati a rispondere di reati conseguenti a fatti penali riferibili alle gestioni precedenti? Il management non può operare efficacemente, in una situazione talmente delicata quanto intricata, avendo un braccio legato dietro la schiena. L’assassino ritorna sempre sul luogo del delitto... come del resto dimostrano i sequestri disposti pur in presenza di un “sito di interesse strategico nazionale”  e dello scudo penale e la sentenza  storica della Consulta, destinata a fare giurisprudenza : "il diritto alla salute non è preminente rispetto al diritto al lavoro, tutti devono essere equilibrati".

La gestione giudiziaria del caso ILVA, comunque la si valuti nel merito, mediante l'esercizio dei poteri del codice di procedura penale, si è mossa sul confine, spesso sconfinando ed innescando un groviglio di incertezze e di fatto pregiudicando piani industriali ed ambientali Come non esiste il lavoro forzato, non esiste neppure il fare impresa per obbligo.

La storia di Ilva, purtroppo, è una storia drammatica, attraverso la quale è possibile smascherare i tanti “ismi” che tengono intrappolata non solo l’Ilva ma anche l’Italia. Ambientalismo ideologico, populismo giudiziario, immobilismo e incapacità politica. Problemi che non riguardano solo lo stabilimento di Taranto. Purtroppo, sono gli stessi che impediscono all’Italia di crescere, di prosperare, di competere. L’Ilva è la punta dell'’iceberg. Giorgia Meloni, come i suoi predecessori, fallirà o troverà una soluzione?  E' ora di dimostrarlo.

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