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Il punto
30 Settembre 2025 - 09:23
Guerra in Medio Oriente
A una passo dalla fine di una guerra di morte e distruzione con l’immediata cessazione delle ostilità e il rilascio degli ostaggi. Quelli sopravvissuti e quelli deceduti dovranno essere restituiti entro tre giorni ad Israele che iinterromperà le operazioni militari iniziando un graduale ritiro delle truppe dall’enclave.
Contemporaneamente saranno introdotti aiuti umanitari massicci, distribuiti da Nazioni Unite e Mezzaluna Rossa.
Disarmo totale di Hamas che non avrà alcun ruolo nella governance di della Striscia, amnistia per i militanti e esilio per i leader. A governare temporaneamente la Striscia dovrebbe essere una squadra di tecnocrati palestinesi, supervisionata da Gita” (Gaza International Transitional Authority), un nuovo organismo internazionale istituito dagli Stati Uniti in consultazione con i partner arabi ed europei, sotto egida Onu e avrebbe sede ad Al-Arish, nel nord della penisola del Sinai, in Egitto. Nessun Palestinese sarà costretto a lasciare Gaza. Gli Stati Uniti, “collaboreranno con i partner arabi ed europei per sviluppare una Forza di Stabilizzazione Internazionale temporanea, che si schiererà immediatamente e supervisionerà la sicurezza a Gaza” mentre una forza palestinese viene addestrata.
Non viene fatto nessun accenno alla Cisgiordania, nonostante Trump avesse opposto nei giorni scorsi un secco ‘no’ all’annessione da parte di Israele. Di Stato palestinese, invece, si parla solo in appendice: se tutto a Gaza andrà come da programma, “potrebbero esserci le condizioni per un percorso credibile” in quella direzione.
L'accordo in 21 punti ricalca prevalentemente il “Board della Pace” elaborato dall’ex premier britannico, Tony Blair che affiancherà Dunald Trump nella transizione di Gaza.
Il piano prevede condizioni difficili da accettare per entrambe le parti. In particolare, il percorso verso un futuro Stato palestinese, e a soffiare sul fuoco restano i ministri israeliani dell’ultradestra messianica ed etnonazionalista, che rivendicano ormai apertamente l’annessione della Cisgiordania, e minacciano Netanyahu di non avere il mandato per porre fine alla guerra senza la sconfitta di Hamas”. Sul fronte opposto, l’ormai imponente movimento delle famiglie degli ostaggi minaccia: “Se non accetta l'accordo, lo aspetta un inferno indescrivibile”, Non sorprende perciò che in queste ore un ruolo decisivo lo avràla conta dei voti alla Knesset, il parlamento israeliano. Se Ben Gvir uscisse dalla coalizione di governo, il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar, un tempo stella nascente del Likud, oggi a capo della formazione Nuova Speranza, che sostiene fermamente il potenziale accordo, sarebbe pronto a offrire al premier una ‘stampella’ che gli garantisca la maggioranza.
Alcuni governi arabi hanno accettato di partecipare alla forza internazionale, ma ci sarebbero ulteriori discussioni in corso. È verosimile che saranno le autorità del Qatar a mettersi in comunicazione con quel che resta del team negoziale di Hamas a Doha.
Tutti, insomma, sembrano volersi tenere una mano libera per far ricadere l’eventuale responsabilità di un fallimento sull’avversario. Non sarebbe la prima volta. Ma il rischio è di scontentare Trump, più deciso che mai a ritagliarsi un ruolo di pacificatore. La pace è spesso un boccone amaro. Trovare un accordo che andasse bene a tutti è sembrato impossibile. ma per il governo israeliano, quanto per il movimento islamico, di fronte a un dilemma esistenziale. Essere realisti più che ottimisti è d'obbligo, tuttavia sembra che tutti vogliano essere più o meno protagonisti di un percorso che potrebbe concretizzarsi nelle prossime ore per rimodellare il Medio Oriente.
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