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La transizione ecologica

Taranto e il suo futuro al centro d'Europa

Per tre giorni il capoluogo ionico è stato protagonista a Bruxelles

Una delle conferenze sullo sviluppo possibile di Taranto a Bruxelles

Una delle conferenze sullo sviluppo possibile di Taranto a Bruxelles

Per tre giorni, dal 27 al 29 giugno, Taranto è stata protagonista a Bruxelles, al Parlamento Europeo e all’Istituto Italiano di Cultura, grazie ad un ciclo di conferenze e di iniziative collaterali promosse dall’onorevole Rosa D’Amato (Verdi Europei) e dal Comitato per i Giochi del Mediterraneo.  Un evento al quale hanno preso parte, fra gli altri, il presidente della Regione, Michele Emiliano, e il sindaco Rinaldo Melucci.
Tre giorni in cui si è discusso del processo di transizione della città verso uno sviluppo sostenibile e diversificato, anche attraverso i progetti che dovrebbero essere realizzati in occasione dei Giochi del Mediterraneo, una sorta di segno di svolta verso una nuova prospettiva che affranchi Taranto dalla dipendenza dalla grande industria e, soprattutto, si liberi dallo stigma negativo che da troppi anni l’accompagna. 
Ecco, dunque, l’opportunità di questa vetrina internazionale dove esporre ricchezze e potenzialità e allo stesso tempo approfondire la complessità del percorso verso una città sostanzialmente diversa. Come è stato fatto nella conferenza conclusiva del 29 giugno: “La transizione giusta di Taranto in attuazione del Green Deal Europeo”. Un confronto nel quale è emerso che a disposizone di Taranto ci sono ben 796 milioni di euro, come ha ricordato Anton Schrag, Capo Unità Italia della Direzione Generale Regio della Commisisone Europea. Ma, ha avvertito Schrag, questi fondi a disposizione non possono in alcun modo essere utilizzati per sostenere aziende in difficoltà. Niente sostegno a grandi aziende, dunque. Tradotto: quesi soldi non possono essere spesi per dare ossigeno all’ex Ilva. 
«L’obiettivo dell’Europa - ha chiarito Schrag - è quello di diventare il primo continente a neutralità climatica e in Italia sono state due le zone di intervento individuate: il Sulcis e Taranto». 
Schrag, che ha sollecitato interventi di ricerca in collaborazione con l’Università sui processi di innovazione, ha affondato comunque il colpo su quello che è forse l’aspetto culturale più importante della transizione: «È Taranto che deve operare». Come a  dire che deve essere la città artefice del proprio destino: è forse è proprio questa la svolta di mentalità necessaria ad una città che per oltre un secolo, prima con la Marina Militare e poi con la siderurgia pubblica, ha sostanzialmente vissuto di economia di Stato. 
Tra tante fonti di finanziamento, c’è il rischio di sovrapposizioni progettuali con la possibilità di vanificare gli sforzi, per questo  Rachel Lancry Beaumont, Capo Unità Coter del Comitato delle Regioni, ha esplicitato quella che è la sfida da vincere: gestire in modo efficace le diverse fonti di fondi a disposizione. Razionalizzare, insomma, attraverso una attenta pianificazione.
«Per realizzare la transizione e quindi per esprimere la ratio di questo processo, che è quella di restituire dignità al territorio - ha detto l’assessore all’urbanistica e alla mobilità sostenibile, Mattia Giorno - è necessario che si crei una filiera istituzionale per avere ricadute di questi circa 800 milioni disponibili almeno per i prossimi quindici anni». «Ma è anche importante - ha sottolineato Giorno - non legare il futuro della città al futuro dell’impresa». Di qui la necessità di un «salto di qualità della imprenditoria».
Eppure, quasi come un convitato di pietra, il gigante siderurgico è stato comunque al centro delle attenzioni. Ma in quali termini può coesistere l’acciaieria più grande d’Europa con l’ambizione della città di andare oltre? Una risposta ha provato a darla Elio Sannicandro, direttore di Asset: «Produrre acciaio sostenibile è possibile, l’azienda è considerata strategica e quindi è soggetta ad azione governativa. Ma bisogna sviluppare progettualità per innescare nuovi modelli di sviluppo». L’intoppo è però quello dei lunghi tempi della burocrazia. «Non ci aiuta il fatto che siamo al quarto governo nel giro di qualche anno».
Di fronte a queste difficoltà può accadere che venga smarrita nei cittadini la fiducia nella possibilità di un riscatto sociale ed economico della città. È quanto emerso da una ricerca condotta dalla Università Lumsa, i cui risultati sono stati illustrati da don Antonio Panico, direttore della Lumsa: «Il 26% degli intervistati rientra nella categoria dei rinunciatari,  cioè di coloro che non credono più al riscatto, sono rassegnati; ma c’è un 10,8% di cittadini che possiamo definire innovatori: credono nella crescita e in nuovi paradigmi di sviluppo». Panico ha messo in luce anche quanto sia frastagliato l’universo delle associazioni: «Non si crea rete e molte sono numericamente poco consistenti».
Il professor Francesco De Filippis, delegato del Rettore del Politecnico di Bari, ha invitato ad avere un «approccio olistico, tenendo insieme tutti gli aspetti di questa transizione con una visione di sviluppo a lungo termine».
«Taranto - ha sottolineato il docente - non ha saputo conciliare le diverse città che contiene, per questo oggi è una realtà frammentata e fragile».
Le conclusioni affidate all’europarlamentare Rosa D’Amato: «I progetti e i soldi ci sono. Ora vanno realizzate le opere e i soldi vanno spesi bene, perché queste sono responsabilità che ricadranno sui nostri figli».
Nel suo appassionato intervento l’onorevole D’Amato ha ricordato, a proposito delle soluzioni tecnologiche per lo stabilimento siderurgico, che le ricerche condotte in Svezia per produrre acciaio autenticamente verde indicano come data di possibile raggiungimento di questo obiettivo il 2045. «Ma noi - ha concluso  - non possiamo più aspettare e non un euro dei fondi disponibili deve finire per sostenere produzioni fossili».
In definitiva, un confronto utile nel quale sono affiorate, sì, le diversità dei punti di vista, ma più di ogni altra cosa, è emersa la volontà comune di costruire una nuova Taranto. E su questo obiettivo bisogna lavorare, attraverso reti di ascolto e relazioni, per superare conflittualità e giungere ad una sintesi di visione che proietti davvero Taranto nel futuro.
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