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Il caso

Manovra del Governo, gli avvocati contro la norma sui compensi

Anf chiede il ritiro dell’emendamento: “Pagamento legato alla regolarità fiscale rischia di bloccare gli emolumenti”

Giustizia

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BARI - La legge di bilancio accende lo scontro con l’avvocatura. L’Associazione nazionale forense esprime una netta contrarietà a una norma inserita nella manovra del Governo Meloni che subordina il pagamento dei compensi professionali alla verifica della regolarità fiscale e contributiva. Una previsione che, secondo l’Anf, rischia di avere effetti pesanti sull’intera categoria.

A spiegare le ragioni della protesta è il presidente Giampaolo Di Marco, che mette in guardia dalle conseguenze pratiche della disposizione. Legare gli emolumenti a controlli sulla posizione fiscale e previdenziale, sottolinea, potrebbe determinare ritardi o addirittura blocchi dei pagamenti anche in presenza di irregolarità temporanee o meramente formali. Una prospettiva che l’Anf giudica particolarmente grave in una fase storica segnata da forti difficoltà economiche per la professione.

Il riferimento è ai dati contenuti nel più recente rapporto Censis della Cassa Forense, secondo cui il 50% degli avvocati italiani non supera un reddito annuo di 21.233 euro. In questo contesto, l’associazione chiede formalmente il ritiro dell’emendamento 129.1000 e la soppressione del comma 10 dell’articolo 129 della finanziaria, una modifica proposta direttamente dal Governo e accolta, spiegano dall’Anf, con forte disappunto.

Secondo Di Marco, la norma conferma timori già manifestati lo scorso ottobre, durante l’esame in Commissione al Senato, quando l’associazione aveva segnalato il rischio che la disposizione potesse essere applicata anche al patrocinio a spese dello Stato, con conseguenze potenzialmente devastanti per migliaia di professionisti. Ritrovarla ora inserita nel testo della manovra, osserva l’Anf, rende il problema ancora più concreto.

L’associazione ribadisce inoltre che l’obbligo di rispettare le norme fiscali e previdenziali grava già sul professionista. Trasformare tale obbligo in una condizione per ottenere il pagamento dei compensi significherebbe, secondo l’Anf, scaricare sugli avvocati controlli che competono alla Pubblica amministrazione, la quale dispone già degli strumenti e delle informazioni necessarie per verificare le singole posizioni.

La previsione contenuta nella legge di bilancio, aggiunge l’Anf, rischia di compromettere i rapporti tra professionisti e Pubbliche amministrazioni, introducendo nuovi oneri burocratici, incertezza applicativa e ritardi nei pagamenti, senza produrre benefici concreti nella lotta all’evasione. Per questo viene definita una misura inefficiente e lesiva della dignità professionale, rispetto alla quale l’associazione invita il Governo a fare un passo indietro.

L’appello è rivolto anche a tutte le forze politiche, chiamate a opporsi in Parlamento a una disposizione giudicata penalizzante. Legalità e trasparenza, conclude Di Marco, restano valori fondamentali, ma non possono tradursi in strumenti di burocrazia paralizzante che mettono a rischio l’efficienza amministrativa, la certezza dei rapporti e il riconoscimento del ruolo dell’avvocatura.

Nel dettaglio, la norma contestata stabilisce che il regolare adempimento degli obblighi fiscali e contributivi da parte dei liberi professionisti che svolgono prestazioni per le amministrazioni pubbliche o per soggetti con compensi a carico dello Stato costituisce condizione per il pagamento degli emolumenti. Una formulazione che, per l’Anf, va cancellata.

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