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L'analisi

Il nonno della Schlein provò a scardinare il potere inviolabile dei giudici

Il referendum confermativo popolare sarà il momento della verità

Agostino Viviani

Agostino Viviani

Agostino Viviani era coetaneo di mio padre, che me ne parlava spesso. Lo considerava un "tribuno della plebe", perché aveva dedicato la sua vita a difendere "il popolino" sfidando le toghe.

Aveva fatto la resistenza e combattuto il fascismo, quello vero. Amico di una vita di Lelio Basso, nel 1972 fu eletto senatore nelle liste del Partito Socialista Italiano, quello vero...

Fu proponente, unico firmatario, del disegno di legge sulla responsabilità civile del magistrato, per porre un argine all'uso incontrollato e spesso illegale della funzione giurisdizionale. Iniziativa senza precedenti che determinò un duro scontro con l'Associazione Magistrati. Viviani si domandava: "se accettato da tutti il principio che chi per dolo o per colpa produce un danno ingiusto è tenuto a risarcirlo ( art. 2043 c. c.), stabilite le distinzioni tra colpa e dolo, la regola vale per tutti. È concepibile che per il magistrato si faccia una eccezione così mostruosa, da liberarlo dalla responsabilità civile in ogni caso, e cioè quando egli arrechi danno ingiusto per dolo o colpa grave?"

Per questo lo accusarono di ledere l’indipendenza della magistratura. Lui che nel '46, prima ancora della Repubblica e della Costituzione, era stato fra gli artefici della legge sulle "Guarentigie della magistratura" stabilendo il principio fondamentale dell'inamovibilità dei magistrati, che non possono essere trasferiti, dispensati o sospesi senza il loro consenso o una decisione del Consiglio Superiore della Magistratura. Il prodromo dell'art.104 della Costituzione che garantisce l'autonomia della magistratura.

Da membro del CSM non volle mai occuparsi della disciplinare. Coerente con la sua formazione giuridica, radicata nella cultura della difesa.

La degenerazione del processo penale, l'uso e l'abuso del principio del libero convincimento, lo indussero ad approfondire e rendersi interprete di una serie di casi di “ordinaria ingiustizia”.

Fu fra i primi sostenitori della necessità della separazione delle funzioni e delle carriere dei magistrati requirenti da quelle dei giudicanti: “Nonostante la forza notevolissima della corporazione dei magistrati, io credo che si arriverà alla separazione per una ragione semplicissima: perché gli abusi che stanno facendo alcuni Pubblici Ministeri che ormai si considerano intoccabili, sono tali che non è possibile concepire che poi quel magistrato vada a fare il giudice“.

 

L'ultima speranza di un imputato prima del verdetto, ricordiamolo, innocente fino alla prova del contrario, sarebbe quello di avere un giudice imparziale e terzo che sappia, con equilibrio, decidere sulle richieste del Pubblico Ministero che si erige a giudice, domandandone la condanna. Un PM che ha già in mente un ricorso, se la sentenza dovesse eventualmente contraddire la sua convinzione, trascinandolo in un contenzioso senza fine, nel quale, quand'anche dovesse  vederlo assolto, sarà l'unico a pagare il danno morale ed economico che avrà devastato irreversibilmente la sua vita e quella della sua famiglia. Una dolorosa esperienza che lascerà una cicatrice aperta per sempre. Quando sarà finita sarà solo più vecchio avendo perso anni della sua vita che mai nessuno potrà restituirgli, grazie a giustizialisti che hanno sostituito al diritto la gogna. Spesso ignoriamo, e la politica non ci aiuta a comprenderlo, che un sistema giudiziario  forte con i deboli e debole con i forti finisce per colpire la gente comune.

 

Si può essere contrari o favorevoli a qualcosa ma dire che ci vorrebbe ben altro è un comportamento ipocrita, nocivo, gattopardesco. Ci ricorda che è necessario attuare cambiamenti per modificare potere, privilegi, status quo.

Il referendum confermativo popolare, nel quale il popolo italiano sarà chiamato a esprimersi su la separazione delle carriere,  sarà il momento della verità in cui gli elettori sceglieranno di credere e affidarsi, al di la delle pregiudiziali ideologiche e delle improprie attribuzioni politiche.

Non sarà difficile, per quanto impegnativo, favorire un dibattito che chiarisca il merito su cui i cittadini dovranno esprimersi.

 

La vera motivazione di chi si oppone alla riforma sta nel sorteggio quale metodo di scelta dei componenti togati dei futuri distinti CSM. Il vero punto dolente sono gli equilibri di potere interni alle correnti della magistratura, esplosi clamorosamente con il "caso Palamara" messi a repentaglio dal sorteggio.

Solo un magistrato libero da vincoli di corrente, potrà decidere in scienza e coscienza chi siano i migliori colleghi da nominare agli incarichi direttivi. Si arriva al sorteggio come rimedio estremo per un male estremo.

Il merito dovrebbe essere l’unico criterio di selezione di chi è chiamato a governare la magistratura, ma  l’elezione dei componenti del CSM e la loro conseguente attività hanno determinato il sistema correntizio, con le sue degenerazioni, il sorteggio è una scelta a dir poco obbligata.

Del resto perché un qualunque magistrato, una volta sorteggiato, non sarebbe in grado di ricoprire il ruolo di consigliere del CSM e di decidere le carriere e le promozioni dei colleghi, quando tutti i giorni, nelle aule di giustizia, assume decisioni ben più rilevanti sulla libertà, sui beni e sulla vita di qualunque cittadino?

Se si obietta che il magistrato di prima nomina di un remoto ufficio giudiziario non è in grado di incidere sulla vita professionale dei colleghi, allora non dovrebbe nemmeno poter decidere della vita dei cittadini.

A un elettore, soprattutto se deluso e frustrato, tentato dall’astensionismo, lo si vuole conquistare alla propria causa, si devono dare soluzioni ai problemi che vive, non di astratta unità contro qualcuno o qualcosa, quanto concrete in favore di qualcosa da conquistare, difendere, tutelare.  

Quella di Agostino Viviani rappresenta una esemplare testimonianza, affascinante e singolare vita di un garantista che provò a scardinare il potere inviolabile dei giudici. Una battaglia che ha lasciato una traccia profonda nella storia del garantismo di questo paese.

“Nell’assistere ad abusi nelle aule dove si cerca giustizia, credevo di dover morire a causa del fegato ingrossato e dei dispiaceri nel veder quanta ingiustizia ci sia nel nostro paese […] la nostra battaglia per una giustizia giusta, può rappresentare una spinta, una speranza per incidere una traccia nel futuro, per i nostri figli, per i nostri nipoti”.

Agostino Viviani non poteva prevedere che proprio sua nipote Elly (Schlein), divenisse alfiere del giustizialismo populista. Spesso i nonni sono il rifugio nelle difficoltà, perché sanno essere un punto di riferimento per affrontare i momenti critici con la saggezza della storia, sono la memoria di un popolo.

I nonni ricordano, raccontano, spiegano, insegnano....

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